Spero di viver anch’io nella memoria de’ posteri sin che vivranno i versi del Pindemonte. Questo l’auspicio che il roveretano Clementino Vannetti rivolgeva a se stesso e alle proprie opere in una lettera del 25 agosto 1787, indirizzata al conte veronese Eriprando Giuliari, a dimostrazione di come Ippolito Pindemonte, prima ancora di aver dato alle stampe il celeberrimo Saggio di poesie campestri, fosse già entrato a far parte del Pantheon letterario fin-de-siècle; o forse più semplicemente perché il Vannetti aveva avuto occasione di leggere in anteprima stralci delle Campestri, prefigurandone la fortuna Il poeta veronese, in effetti, rappresentò per molti contemporanei – quasi analogamente a quanto avvenne per Byron nell’Inghilterra d’inizio Ottocento – un modello da imitare tanto nell’usus scribendi, quanto nel modus vivendi. La morte, poi, incrinò la fama del poeta, facendola affievolire sino al punto di lasciar sopravvivere il Pindemonte, nella memoria di molte generazioni di studenti, solo in virtù del suo essere stato l’interlocutore cui Foscolo si rivolgeva nei Sepolcri. Gli studiosi continuarono invece ad occuparsi del tragediografo veronese, come dimostra la cospicua bibliografia critica. Uomo schivo e riservato, come ricorda il biografo Bennassù Montanari, le sfaccettature più private della vita del poeta divennero anch’esse oggetto di studio, propiziando la pubblicazione di alcuni vasti epistolari e carteggi pindemontiani, allo scopo di approfondire le idee letterarie, ma anche l’umanità, la ‘creaturalità’ del poeta. In questo senso si sono indirizzati gli studi sugli epistolari pindemontiani di maggior rilievo, ultimo in ordine cronologico quello con Isabella Teotochi Albrizzi, in cui dispute letterarie, riflessioni sulle scelte poetiche e spaccati di vita quotidiana convivono in maniera armonica, restituendoci un vivace ritratto umano e intellettuale del poeta. L’importanza dello studio dei carteggi per la ricostruzione della biografia pindemontiana – analogamente a quanto avviene per molti altri intellettuali del Settecento, secolo caratterizzato, forse più che gli altri, da una spiccata grafomania epistolare – fu individuata già dal primo e ancora oggi più attendibile biografo del poeta, Bennassù Montanari, che raccolse ed inserì nei sei libri dedicati al ritratto dell’amico e ideale maestro numerose lettere a vari corrispondenti, nel tentativo di restituire, talvolta con eccessiva dovizia di particolari, una minuziosa cronaca della vita e delle opere del cavaliere Gerosolimitano.

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«Ozio e virtù in fatto di Belle lettere». Corrispondenza di Ippolito Pindemonte con Angelo Mazza e Smeraldo Benelli. 1778-1828

CAPPELLETTI, Cristina
2007-01-01

Abstract

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2007
Belle lettere; Ippolito Pindemonte; Angelo Mazza; Smeraldo Benelli
Spero di viver anch’io nella memoria de’ posteri sin che vivranno i versi del Pindemonte. Questo l’auspicio che il roveretano Clementino Vannetti rivolgeva a se stesso e alle proprie opere in una lettera del 25 agosto 1787, indirizzata al conte veronese Eriprando Giuliari, a dimostrazione di come Ippolito Pindemonte, prima ancora di aver dato alle stampe il celeberrimo Saggio di poesie campestri, fosse già entrato a far parte del Pantheon letterario fin-de-siècle; o forse più semplicemente perché il Vannetti aveva avuto occasione di leggere in anteprima stralci delle Campestri, prefigurandone la fortuna Il poeta veronese, in effetti, rappresentò per molti contemporanei – quasi analogamente a quanto avvenne per Byron nell’Inghilterra d’inizio Ottocento – un modello da imitare tanto nell’usus scribendi, quanto nel modus vivendi. La morte, poi, incrinò la fama del poeta, facendola affievolire sino al punto di lasciar sopravvivere il Pindemonte, nella memoria di molte generazioni di studenti, solo in virtù del suo essere stato l’interlocutore cui Foscolo si rivolgeva nei Sepolcri. Gli studiosi continuarono invece ad occuparsi del tragediografo veronese, come dimostra la cospicua bibliografia critica. Uomo schivo e riservato, come ricorda il biografo Bennassù Montanari, le sfaccettature più private della vita del poeta divennero anch’esse oggetto di studio, propiziando la pubblicazione di alcuni vasti epistolari e carteggi pindemontiani, allo scopo di approfondire le idee letterarie, ma anche l’umanità, la ‘creaturalità’ del poeta. In questo senso si sono indirizzati gli studi sugli epistolari pindemontiani di maggior rilievo, ultimo in ordine cronologico quello con Isabella Teotochi Albrizzi, in cui dispute letterarie, riflessioni sulle scelte poetiche e spaccati di vita quotidiana convivono in maniera armonica, restituendoci un vivace ritratto umano e intellettuale del poeta. L’importanza dello studio dei carteggi per la ricostruzione della biografia pindemontiana – analogamente a quanto avviene per molti altri intellettuali del Settecento, secolo caratterizzato, forse più che gli altri, da una spiccata grafomania epistolare – fu individuata già dal primo e ancora oggi più attendibile biografo del poeta, Bennassù Montanari, che raccolse ed inserì nei sei libri dedicati al ritratto dell’amico e ideale maestro numerose lettere a vari corrispondenti, nel tentativo di restituire, talvolta con eccessiva dovizia di particolari, una minuziosa cronaca della vita e delle opere del cavaliere Gerosolimitano.
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