Che la parola tedesca Heimat sia intraducibile in altre lingue, costituisce ormai un luogo comune. Ogni suo corrispettivo – “patria” in italiano, “pays natal” o “patrie” in francese, “home” o “homeland” in inglese, etc. – sembra in generale sin troppo determinato per mantenere in sé tutte le connotazioni implicate della parola Heimat, che a loro volta ne fanno un termine essenzialmente indefinibile. Eppure, nonostante la sua supposta intraducibilità, la parola Heimat viene costantemente tradotta e definita. La sua traduzione come anche la sua definizione non fanno altro che tradurre il termine in modo da distinguere diversi livelli semantici e ambiti funzionali che invece in quello tedesco si coappartengono, risultando così inseparabili. Evidentemente una tale traduzione, come del resto ogni traduzione, non può aver luogo che escludendo o tralasciando alcuni significati. In particolare, una tale traduzione è possibile solo nella misura in cui cancella ciò che, nel termine Heimat, non si lascia né definire né concettualizzare: quella sua specifica carica di emotività e di intensa sentimentalità, ossia il vasto spettro di associazioni affettive che vengono attivate rispetto alla dimensione della casa, del focolare, dei ricordi d’infanzia e della famiglia che la Heimat include. Queste dimensioni sono infatti compresenti nella parola Heimat, saldate in un unico immaginario, nell’immagine appunto di una Heimat che tutte le unifica e le alimenta. Già queste poche osservazioni iniziali mettono decisamente in dubbio che esista una storia della parola Heimat. Esiste tuttavia una storia del concetto di Heimat, che suddivide i significati implicati in una stessa parola, in momenti storici e in ambiti funzionali ben distinti. Così l’approccio storico-concettuale è, per esempio, in grado di rintracciare l’origine del concetto di Heimatrecht, l’istituzione giuridica che nasce nel XVI secolo nelle città tedesche e che garantisce l’offerta di soccorso a tutti coloro che appartengono alla comunità cittadina. Essa garantisce ai suoi membri il diritto di alloggio e di sepoltura, come anche l’assistenza ai poveri – che, per altro, non ha mai impedito che si espellessero mendicanti stranieri dalla città. Secondo tale diritto, rimasto in vigore fino agli inizi del Novecento, è senza Heimat colui a cui nessun comune è obbligato a offrire alloggio e assistenza1. Lo Heimatrecht è dunque una specie di precursore del moderno diritto di cittadinanza, e come tale ha sempre funzionato come un fattore decisivo nel processo di esclusione di una parte dell’umanità che, per le più diversi ragioni, non gode degli stessi diritti. Le domande legate all’aspetto giuridico-politico della Heimat costituiscono un lato della presente indagine. L’altro lato, invece, consiste in ciò che la Heimat implica in quanto potenziale affettivo e espressione di intimità, in quanto ricordo e sensazione di appartenenza a un luogo. È evidente come tale aspetto, per quanto inseparabile dal primo, non si riduca a esso. Difficile, se non addirittura impossibile, scrivere una storia di quest’ultima dimensione della Heimat, che determina comunque in maniera essenziale le singole vite vissute al di là della questione del diritto. Il presente lavoro è pertanto interessato ad analizzare in che modo la storia della Heimat in quanto storia giuridico-politica sia costantemente attraversata da dinamiche affettive che, in quanto tali, rimangano concettualmente inafferrabili e di cui possiamo solo registrare gli effetti. Mentre le diverse storie del concetto provano a mettere ordine in ciò che nel termine Heimat è sempre compresente e indissolubilmente intrecciato – ossia non solo i significati che la parola ha assunto in distinti momenti storici, ma anche i piani diversi (politico, sociale, teologico, antropologico, linguistico, letterario e filosofico) da essa attraversati – ci è sembrato opportuno, nell’ascolto delle loro interferenze, indagare le dinamiche e le trasformazioni implicite all’interno di tali piani. Simili dinamiche non costituiscono mai delle storie semplicemente rappresentabili. Esse sono invece ciò che interrompe costantemente la possibilità stessa di costituirsi come narrazione della storia di un concetto.

Non disponibile

Il concetto di Heimat nel Novecento tra filosofia, letteratura e architettura

KASPER, Judith
2007-01-01

Abstract

Non disponibile
2007
heimat; novecento; filosofia; letteratura; architettura
Che la parola tedesca Heimat sia intraducibile in altre lingue, costituisce ormai un luogo comune. Ogni suo corrispettivo – “patria” in italiano, “pays natal” o “patrie” in francese, “home” o “homeland” in inglese, etc. – sembra in generale sin troppo determinato per mantenere in sé tutte le connotazioni implicate della parola Heimat, che a loro volta ne fanno un termine essenzialmente indefinibile. Eppure, nonostante la sua supposta intraducibilità, la parola Heimat viene costantemente tradotta e definita. La sua traduzione come anche la sua definizione non fanno altro che tradurre il termine in modo da distinguere diversi livelli semantici e ambiti funzionali che invece in quello tedesco si coappartengono, risultando così inseparabili. Evidentemente una tale traduzione, come del resto ogni traduzione, non può aver luogo che escludendo o tralasciando alcuni significati. In particolare, una tale traduzione è possibile solo nella misura in cui cancella ciò che, nel termine Heimat, non si lascia né definire né concettualizzare: quella sua specifica carica di emotività e di intensa sentimentalità, ossia il vasto spettro di associazioni affettive che vengono attivate rispetto alla dimensione della casa, del focolare, dei ricordi d’infanzia e della famiglia che la Heimat include. Queste dimensioni sono infatti compresenti nella parola Heimat, saldate in un unico immaginario, nell’immagine appunto di una Heimat che tutte le unifica e le alimenta. Già queste poche osservazioni iniziali mettono decisamente in dubbio che esista una storia della parola Heimat. Esiste tuttavia una storia del concetto di Heimat, che suddivide i significati implicati in una stessa parola, in momenti storici e in ambiti funzionali ben distinti. Così l’approccio storico-concettuale è, per esempio, in grado di rintracciare l’origine del concetto di Heimatrecht, l’istituzione giuridica che nasce nel XVI secolo nelle città tedesche e che garantisce l’offerta di soccorso a tutti coloro che appartengono alla comunità cittadina. Essa garantisce ai suoi membri il diritto di alloggio e di sepoltura, come anche l’assistenza ai poveri – che, per altro, non ha mai impedito che si espellessero mendicanti stranieri dalla città. Secondo tale diritto, rimasto in vigore fino agli inizi del Novecento, è senza Heimat colui a cui nessun comune è obbligato a offrire alloggio e assistenza1. Lo Heimatrecht è dunque una specie di precursore del moderno diritto di cittadinanza, e come tale ha sempre funzionato come un fattore decisivo nel processo di esclusione di una parte dell’umanità che, per le più diversi ragioni, non gode degli stessi diritti. Le domande legate all’aspetto giuridico-politico della Heimat costituiscono un lato della presente indagine. L’altro lato, invece, consiste in ciò che la Heimat implica in quanto potenziale affettivo e espressione di intimità, in quanto ricordo e sensazione di appartenenza a un luogo. È evidente come tale aspetto, per quanto inseparabile dal primo, non si riduca a esso. Difficile, se non addirittura impossibile, scrivere una storia di quest’ultima dimensione della Heimat, che determina comunque in maniera essenziale le singole vite vissute al di là della questione del diritto. Il presente lavoro è pertanto interessato ad analizzare in che modo la storia della Heimat in quanto storia giuridico-politica sia costantemente attraversata da dinamiche affettive che, in quanto tali, rimangano concettualmente inafferrabili e di cui possiamo solo registrare gli effetti. Mentre le diverse storie del concetto provano a mettere ordine in ciò che nel termine Heimat è sempre compresente e indissolubilmente intrecciato – ossia non solo i significati che la parola ha assunto in distinti momenti storici, ma anche i piani diversi (politico, sociale, teologico, antropologico, linguistico, letterario e filosofico) da essa attraversati – ci è sembrato opportuno, nell’ascolto delle loro interferenze, indagare le dinamiche e le trasformazioni implicite all’interno di tali piani. Simili dinamiche non costituiscono mai delle storie semplicemente rappresentabili. Esse sono invece ciò che interrompe costantemente la possibilità stessa di costituirsi come narrazione della storia di un concetto.
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Tipologia: Tesi di dottorato
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/337831
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