“Abbiamo i sindaci, ma ci manca il controllo (…). Una verbosa retorica li ha creati, la esperienza li dovrà seppellire”. Così si esprimeva Cesare Vivante nel 1935 pronosticando con profetica, ma fallace, visione la fine di un istituto che manifestava una “posizione ambigua” e che aveva ricevuto solo nel 1882, nel codice di commercio, una prima consacrazione legislativa attraverso quei caratteri che è possibile scorgere anche nella attuale disciplina. Occorre chiedersi cosa spingeva l’autorevole dottrina citata (e non si trattava di una voce isolata), tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, ad invocare l’abrogazione del collegio sindacale e cosa ha permesso di far sì che, invece, lo stesso abbia saputo darwinariamente resistere alle intemperie, attraversando i secoli e le riforme accennate e mai realizzate, ma anche stravolgenti, o che sarebbero potute essere tali. Se proprio da quest’ultima si deve partire per delinere i tratti salienti rispetto al collegio sindacale, non si può negare che la disciplina attuale sia il frutto del dibattito che ha accompagnato la genesi e l’esplicazione dell’organo di controllo. L’architettura normativa costruita dalla riforma del diritto societario presenta, sotto il profilo generale, un duplice profilo di intervento: da un lato, sembra recepire orientamenti e opinioni condivise o fortemente maggioritarie sia in dottrina che in giurisprudenza; dall’altro, modifica istituti giuridici (o ne introduce di nuovi), adeguandoli alle mutate esigenze degli operatori economici. Nel primo caso si limita semplicemente a riconoscere alla “communis opinio” veste formale di norma giuridica; nel secondo modifica il contesto giuridico entro cui il giurista deve muoversi ed operare.

Non disponibile

Il collegio sindacale nelle s.p.a. La centralità dell'indipendenza nella funzione di controllo

CAPRARA, Andrea
2007-01-01

Abstract

Non disponibile
2007
collegio sindacale; s.p.a.
“Abbiamo i sindaci, ma ci manca il controllo (…). Una verbosa retorica li ha creati, la esperienza li dovrà seppellire”. Così si esprimeva Cesare Vivante nel 1935 pronosticando con profetica, ma fallace, visione la fine di un istituto che manifestava una “posizione ambigua” e che aveva ricevuto solo nel 1882, nel codice di commercio, una prima consacrazione legislativa attraverso quei caratteri che è possibile scorgere anche nella attuale disciplina. Occorre chiedersi cosa spingeva l’autorevole dottrina citata (e non si trattava di una voce isolata), tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, ad invocare l’abrogazione del collegio sindacale e cosa ha permesso di far sì che, invece, lo stesso abbia saputo darwinariamente resistere alle intemperie, attraversando i secoli e le riforme accennate e mai realizzate, ma anche stravolgenti, o che sarebbero potute essere tali. Se proprio da quest’ultima si deve partire per delinere i tratti salienti rispetto al collegio sindacale, non si può negare che la disciplina attuale sia il frutto del dibattito che ha accompagnato la genesi e l’esplicazione dell’organo di controllo. L’architettura normativa costruita dalla riforma del diritto societario presenta, sotto il profilo generale, un duplice profilo di intervento: da un lato, sembra recepire orientamenti e opinioni condivise o fortemente maggioritarie sia in dottrina che in giurisprudenza; dall’altro, modifica istituti giuridici (o ne introduce di nuovi), adeguandoli alle mutate esigenze degli operatori economici. Nel primo caso si limita semplicemente a riconoscere alla “communis opinio” veste formale di norma giuridica; nel secondo modifica il contesto giuridico entro cui il giurista deve muoversi ed operare.
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