Novant’anni fa, con la fine della Prima guerra mondiale, i confini del Regno d’Italia si ampliano a comprendere quei territori, il Trentino, il Friuli orientale, la città di Trieste, l’Istria e parte della Dalmazia, che la retorica nazionale definisce «irredenti». Il termine «irredento» viene probabilmente usato per la prima volta da Matteo Imbriani, fondatore della Società Pro Italia Irredenta, nel 1877 e, da allora, indica gli abitanti delle province di lingua italiana che, dopo la terza guerra d’indipendenza, sono rimaste sotto il controllo dell’ Impero d’Austria. Pensare però come «irredenta» l’intera popolazione di questi territori è certo una forzatura e non è azzardato affermare che sono gli «irredentisti», intesi come attivisti politici e riuniti nel Regno in diverse associazioni, a raffigurare gli italiani d’Austria come «irredenti», cercando, specie nel periodo della neutralità, di presentare strumentalmente all’opinione pubblica italiana un Trentino o un Litorale Adriatico tutti anelanti la redenzione e il ricongiungimento alla madrepatria. La realtà, è noto, è ben diversa. Sebbene il Trentino sia italiano per lingua e cultura in maniera omogenea, la popolazione delle campagne e delle valli è in prevalenza quietamente indifferente, quando non palesemente filo-austriaca, per affetto dinastico o influenza del clero. Nei territori giuliani la questione è più complessa: qui l’elemento italiano, borghese e cittadino, si scontra soprattutto con quello slavo, abitante delle campagne e poi inurbato come proletariato industriale. L’ostilità all’Austria monta solamente verso la fine del secolo XIX, quando il governo di Vienna viene accusato di aiutare il cosiddetto «risveglio» del nazionalismo slavo in chiave anti-italiana. Se questo è vero non dobbiamo però cadere nell’errore di ritenere tutta la questione nazionale delle province italiane d’Austria l’invenzione propagandistica di gruppi politici aventi l’obiettivo di una guerra contro la duplice monarchia. A Trento come a Trieste, per usare una logora espressione, sebbene siano realtà radicalmente diverse, è possibile, con qualche generalizzazione, individuare nella borghesia cittadina, un elemento filo-italiano molto consistente in entrambe le società. Il sentimento di appartenenza all’Italia nasce fondamentalmente da due fattori: quello economico e quello politico-culturale. La borghesia trentina, che non vede possibilità di espansione all’interno della duplice monarchia, guarda all’Italia come sbocco naturale per attività di tipo imprenditoriale e anche come fonte di lavoro negli impieghi statali e nelle libere professioni. A Trieste ci si attende che l’Italia attui nell’Adriatico una politica di potenza e di espansione che l’Austria sembra non più in grado di perseguire così da ottenere crescita economica e protezione dall’elemento slavo. La borghesia in difficoltà, spinta a vedere nel Regno la soluzione, spesso idealizzata, di ogni problema, trova poi nella tradizione storico-culturale italiana, non solo un motivo di orgoglio e di rivalsa verso l’Austria, ma anche un elemento unificante attorno al quale riunirsi per rivendicare i propri diritti. [...]
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Studenti "italiani d'Austria" nelle università del Regno tra passione nazionale e mito culturale. 1880 - 1915
QUERCIOLI, Alessio
2008-01-01
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