Durante quel gran “secolo di genio” che è stato il Seicento, secondo una nota definizione di Whitehead, la lettura diviene un indispensabile strumento di definizione culturale e il libro addirittura un oggetto sacro, una “reliquia” da venerare, destinata a proteggere e preservare “cose” preziose, come in un “sepolcro” o in uno “scrigno”. La scrittura permeava il quotidiano, invadendo anche gli spazi privati, e grande era la fiducia accordata alla sua immagine. Persino il cardinale bolognese Paleotti, nel Discorso intorno alle immagini sacre e profane (1580), scriveva che “le imagini in poco spazio, senza voltare volumi o fogli, abbracciano ampissimi e gravissimi concetti”, ribadendo il ruolo fondamentale del libro illustrato nel “rendere visibile il sapere”. In esso arte e letteratura “si incontrano e si specchiano reciprocamente”; in esso si compie quell’“unità del barocco linguistico e del barocco figurativo” che è alla base di tutte le manifestazioni artistiche seicentesche. “Omnis in unum”: queste, non a caso, le parole scelte da Emanuele Tesauro, padre della materia “concettosa”, per invitare il lettore a scoprire le meraviglie del Canocchiale aristotelico (1655), aperto da una sontuosa antiporta dove campeggiano al centro, entro una strana anamorfosi dipinta dall’allegoria della Pittura. È proprio all’“immagine della scrittura”, per dirla con Walter Benjamin, che la presente ricerca viene dedicata. In particolare, l’indagine è rivolta allo sviluppo dell’illustrazione del libro veneziano nel corso del secolo, a partire dai materiali emersi dai fondi della Biblioteca Antoniana e della Biblioteca del Convento conservati presso il complesso della Basilica di Sant’Antonio a Padova. La scelta è ricaduta su quei testi che si sono rivelati particolarmente significativi quanto a emergenze figurative e ornamentali, e che bene si prestano a tracciare il quadro di tale evouzione, che non è solo iconografica e stilistica in senso stretto, ma estesa a implicazioni storiche, sociali e culturali più vaste. Naturalmente, il catalogo proposto non vuole e non può essere esaustivo e assoluto, così come non esiste “uno standard valido […] per qualunque tipo di catalogazione”, ma è solo un tentativo di abbozzare le linee generali di un fenomeno affascinante e assai poco esplorato, che ha legami indissolubili con le altre arti. Ed è anche un tentativo di orientarsi entro una produzione a stampa molto sostenuta (poco meno di ventimila le voci censite nei due volumi su Le edizioni veneziane del Seicento), tanto che Petrucci parlava, non a caso, di “monumentale cartaceo” e Menegatti di “scritti oceanici”, riferendosi alla straripante opera letteraria di un particolare settore dell’editoria veneziana dell’epoca, che è quello legato all’Accademia degli Incogniti. “E’incredibile, quanto la facilità della Stampa habbia disficultato il negotio dello stampare”, aveva a dire Traiano Boccalini nei suoi Ragguagli di Parnaso (1614), ed è ben strano che alla veste grafica del secolo tormentato dalle “eccitazioni della penna” sia stato dedicato poco spazio e scarso interesse di critica, che pare essersi risvegliato solo in tempi recentissimi. Come già sottolineato più volte, una ricerca approfondita sull’incisione e l’illustrazione del libro in ambito veneto durante il Seicento non è stata oggetto di specifici studi, a differenza di altri periodi storici e altre aree italiane. Alla grande stagione degli esordi e del Cinquecento, che ha dato talora esiti straordinari, e all’arte della stampa sono stati dedicati, infatti, ampi e metodici scritti, di carattere monografico e generale. Anche l’ultimo secolo d’oro di Venezia è stato ripetutamente indagato, nel suo insieme e nell’analisi di singoli cataloghi (si pensi alle vedute incise di Canaletto, alle invenzioni di Piazzetta e Tiepolo o alla selva delle poco note pubblicazioni d’occasione). Quanto al Seicento, non mancano repertori generali, nei quali tuttavia la scuola veneta è toccata marginalmente; o interventi sporadici, presentati nel corso di esposizioni temporanee, dove il periodo in esame è trattato solo di passaggio. Questo deve stupire, specie a confronto con l’enorme interesse che almeno negli ultimi vent’anni si è registrato a proposito della coeva pittura, scultura e architettura. Se la mole di libri stampati si mantiene imponente, anche la produzione incisoria non è interrotta, anzi rimane assai consistente, tale da non creare una cesura, bensì da permettere una continuità con le raffinate opere del secolo precedente e da aprire la strada alla fioritura settecentesca. Una persistenza attestata da figure di trait d’union quali, ad esempio, Giuseppe Scolari, autore di guizzanti xilografie, attivo sino al primo quindicennio del secolo, o il veronese Antonio Balestra, operoso a cavallo tra Sei e Settecento. Si è assistito, anche, a un parallelo incremento di pubblicazioni su fenomeni in qualche modo connessi alla stampa, quali il mercato dell’arte e la storia del collezionismo, della critica e del gusto, nonché di alcuni studi (ancora in parte in fieri) sul complesso panorama dell’editoria e dell’illustrazione libraria, in un’ottica specialistica ma frammentaria che il presente lavoro si propone di ricomporre nei termini di un’analisi generale. Nel capitolo che segue si è cercato di motivare la scelta del fondo antoniano come base di partenza della ricerca e come valido “campione” rappresentativo, tentando una ricostruzione virtuale dell’assetto e della consistenza del nucleo seicentesco e lasciando la parola ai testi, abbondantemente postillati, e a ciò che essi tramandano. I paragrafi successivi sono invece dedicati al contesto di una Venezia “in chiaroscuro”, fiaccata da una decennale crisi economica, politica e sociale, ma ancora decisa a non perdere il ruolo di capitale della cultura e dell’editoria che l’ha resa celebre. Dopo aver tracciato le linee essenziali di un percorso critico sull’illustrazione del libro, peraltro piuttosto svalutante, anche alla luce di confronti italiani e oltralpini, si è voluto sfatare il “mito negativo” di un totale e irreparabile scadimento e la comune idea che pochi sono stati gli incisori di talento ed esigue le opere importanti e qualitativamente pregevoli. Certamente Venezia attraversa, specie negli anni ’20 e ’30 del secolo, un periodo difficile anche nell’ambito della produzione a stampa, ma non mancano ottimi testi e validissimi illustratori, da Francesco Valesio a Gacomo Piccini, da Giovanni Georgi a suor Isabella, così come alcuni minori da rivalutare. Fondamentale è poi l’indagine sull’evoluzione dell’illustrazione nei suoi aspetti tecnici, iconografici e tipologici, in cui tanta parte sembra aver giocato l’accoppiata Ruschi-Piccini entro il circuito egemonico degli Incogniti negli anni centrali del secolo, nonché il confronto continuo con i coevi raggiungimenti delle altre manifestazioni artistiche, specie la scultura e la decorazione, in particolar modo l’arte della cornice. Tenendo conto che “la produzione seicentesca è massicciamente caratterizzata da insistenti ristampe, nuove emissioni, varianti di stato, contraffazioni, falsi luoghi di stampa, edizioni condivise da tipografi diversi”, particolare attenzione è stata posta al fenomeno del riuso, che interessa soprattutto la grafica complementare (ma non solo) e che rende particolarmente difficile la ricostruzione bibliologica e iconografica.

not available

L'immagine della scrittura. L'illustrazione del libro veneziano del Seicento nei fondi della Biblioteca Antoniana di Padova

COCCHIARA, Francesca
2008-01-01

Abstract

not available
2008
libro; illustrazione; Seicento; Venezia
Durante quel gran “secolo di genio” che è stato il Seicento, secondo una nota definizione di Whitehead, la lettura diviene un indispensabile strumento di definizione culturale e il libro addirittura un oggetto sacro, una “reliquia” da venerare, destinata a proteggere e preservare “cose” preziose, come in un “sepolcro” o in uno “scrigno”. La scrittura permeava il quotidiano, invadendo anche gli spazi privati, e grande era la fiducia accordata alla sua immagine. Persino il cardinale bolognese Paleotti, nel Discorso intorno alle immagini sacre e profane (1580), scriveva che “le imagini in poco spazio, senza voltare volumi o fogli, abbracciano ampissimi e gravissimi concetti”, ribadendo il ruolo fondamentale del libro illustrato nel “rendere visibile il sapere”. In esso arte e letteratura “si incontrano e si specchiano reciprocamente”; in esso si compie quell’“unità del barocco linguistico e del barocco figurativo” che è alla base di tutte le manifestazioni artistiche seicentesche. “Omnis in unum”: queste, non a caso, le parole scelte da Emanuele Tesauro, padre della materia “concettosa”, per invitare il lettore a scoprire le meraviglie del Canocchiale aristotelico (1655), aperto da una sontuosa antiporta dove campeggiano al centro, entro una strana anamorfosi dipinta dall’allegoria della Pittura. È proprio all’“immagine della scrittura”, per dirla con Walter Benjamin, che la presente ricerca viene dedicata. In particolare, l’indagine è rivolta allo sviluppo dell’illustrazione del libro veneziano nel corso del secolo, a partire dai materiali emersi dai fondi della Biblioteca Antoniana e della Biblioteca del Convento conservati presso il complesso della Basilica di Sant’Antonio a Padova. La scelta è ricaduta su quei testi che si sono rivelati particolarmente significativi quanto a emergenze figurative e ornamentali, e che bene si prestano a tracciare il quadro di tale evouzione, che non è solo iconografica e stilistica in senso stretto, ma estesa a implicazioni storiche, sociali e culturali più vaste. Naturalmente, il catalogo proposto non vuole e non può essere esaustivo e assoluto, così come non esiste “uno standard valido […] per qualunque tipo di catalogazione”, ma è solo un tentativo di abbozzare le linee generali di un fenomeno affascinante e assai poco esplorato, che ha legami indissolubili con le altre arti. Ed è anche un tentativo di orientarsi entro una produzione a stampa molto sostenuta (poco meno di ventimila le voci censite nei due volumi su Le edizioni veneziane del Seicento), tanto che Petrucci parlava, non a caso, di “monumentale cartaceo” e Menegatti di “scritti oceanici”, riferendosi alla straripante opera letteraria di un particolare settore dell’editoria veneziana dell’epoca, che è quello legato all’Accademia degli Incogniti. “E’incredibile, quanto la facilità della Stampa habbia disficultato il negotio dello stampare”, aveva a dire Traiano Boccalini nei suoi Ragguagli di Parnaso (1614), ed è ben strano che alla veste grafica del secolo tormentato dalle “eccitazioni della penna” sia stato dedicato poco spazio e scarso interesse di critica, che pare essersi risvegliato solo in tempi recentissimi. Come già sottolineato più volte, una ricerca approfondita sull’incisione e l’illustrazione del libro in ambito veneto durante il Seicento non è stata oggetto di specifici studi, a differenza di altri periodi storici e altre aree italiane. Alla grande stagione degli esordi e del Cinquecento, che ha dato talora esiti straordinari, e all’arte della stampa sono stati dedicati, infatti, ampi e metodici scritti, di carattere monografico e generale. Anche l’ultimo secolo d’oro di Venezia è stato ripetutamente indagato, nel suo insieme e nell’analisi di singoli cataloghi (si pensi alle vedute incise di Canaletto, alle invenzioni di Piazzetta e Tiepolo o alla selva delle poco note pubblicazioni d’occasione). Quanto al Seicento, non mancano repertori generali, nei quali tuttavia la scuola veneta è toccata marginalmente; o interventi sporadici, presentati nel corso di esposizioni temporanee, dove il periodo in esame è trattato solo di passaggio. Questo deve stupire, specie a confronto con l’enorme interesse che almeno negli ultimi vent’anni si è registrato a proposito della coeva pittura, scultura e architettura. Se la mole di libri stampati si mantiene imponente, anche la produzione incisoria non è interrotta, anzi rimane assai consistente, tale da non creare una cesura, bensì da permettere una continuità con le raffinate opere del secolo precedente e da aprire la strada alla fioritura settecentesca. Una persistenza attestata da figure di trait d’union quali, ad esempio, Giuseppe Scolari, autore di guizzanti xilografie, attivo sino al primo quindicennio del secolo, o il veronese Antonio Balestra, operoso a cavallo tra Sei e Settecento. Si è assistito, anche, a un parallelo incremento di pubblicazioni su fenomeni in qualche modo connessi alla stampa, quali il mercato dell’arte e la storia del collezionismo, della critica e del gusto, nonché di alcuni studi (ancora in parte in fieri) sul complesso panorama dell’editoria e dell’illustrazione libraria, in un’ottica specialistica ma frammentaria che il presente lavoro si propone di ricomporre nei termini di un’analisi generale. Nel capitolo che segue si è cercato di motivare la scelta del fondo antoniano come base di partenza della ricerca e come valido “campione” rappresentativo, tentando una ricostruzione virtuale dell’assetto e della consistenza del nucleo seicentesco e lasciando la parola ai testi, abbondantemente postillati, e a ciò che essi tramandano. I paragrafi successivi sono invece dedicati al contesto di una Venezia “in chiaroscuro”, fiaccata da una decennale crisi economica, politica e sociale, ma ancora decisa a non perdere il ruolo di capitale della cultura e dell’editoria che l’ha resa celebre. Dopo aver tracciato le linee essenziali di un percorso critico sull’illustrazione del libro, peraltro piuttosto svalutante, anche alla luce di confronti italiani e oltralpini, si è voluto sfatare il “mito negativo” di un totale e irreparabile scadimento e la comune idea che pochi sono stati gli incisori di talento ed esigue le opere importanti e qualitativamente pregevoli. Certamente Venezia attraversa, specie negli anni ’20 e ’30 del secolo, un periodo difficile anche nell’ambito della produzione a stampa, ma non mancano ottimi testi e validissimi illustratori, da Francesco Valesio a Gacomo Piccini, da Giovanni Georgi a suor Isabella, così come alcuni minori da rivalutare. Fondamentale è poi l’indagine sull’evoluzione dell’illustrazione nei suoi aspetti tecnici, iconografici e tipologici, in cui tanta parte sembra aver giocato l’accoppiata Ruschi-Piccini entro il circuito egemonico degli Incogniti negli anni centrali del secolo, nonché il confronto continuo con i coevi raggiungimenti delle altre manifestazioni artistiche, specie la scultura e la decorazione, in particolar modo l’arte della cornice. Tenendo conto che “la produzione seicentesca è massicciamente caratterizzata da insistenti ristampe, nuove emissioni, varianti di stato, contraffazioni, falsi luoghi di stampa, edizioni condivise da tipografi diversi”, particolare attenzione è stata posta al fenomeno del riuso, che interessa soprattutto la grafica complementare (ma non solo) e che rende particolarmente difficile la ricostruzione bibliologica e iconografica.
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