A partire dalla seconda metà del secolo scorso è aumentata notevolmente la sensibilità verso gli aspetti metodologici della ricerca e verso le tematiche della conservazione e della tutela dei beni archeologici. Tuttavia, pur nel progresso registrato a partire dagli anni settanta in poi, non si è ancora giunti ad un censimento completo dei beni culturali italiani, seppure non siano mancati i tentativi per ottenere questo risultato. Spesso, a giustificazione di questa grave carenza, si cita la ricchezza (in termini di “incontrollabile” quantità) del patrimonio storico, archeologico e artistico d’Italia. Probabilmente le motivazioni di questo fallimento sono diversificate e risentono anche di una diffusa e persistente mancanza di sensibilità verso il “bene culturale” inteso come risorsa (non solo economica). In secondo luogo si assiste alla mancanza di coordinamento tra le istituzioni preposte alla conservazione e alla tutela che spesso sono in conflitto tra loro e con gli enti di ricerca che dovrebbero contribuire alla conoscenza del territorio. La tradizionale suddivisione di competenze tra Musei, Soprintendenze, Università ed Enti di Ricerca, non è più effettiva poiché queste istituzioni perseguono parallelamente molteplici obiettivi (ricerca, didattica, valorizzazione, ecc..) prima distinti e caratteristici di uno o dell’altro ente. La principale prerogativa rimasta esclusivamente alla Soprintendenza è quella della tutela, esercitata a fatica per mancanza di vincoli e per la difficoltà di applicarli quando siano stati imposti. I musei, un tempo intermediari con il territorio e con gli appassionati locali che contribuivano a scoprirlo e a controllarlo, sono spesso chiusi nei magazzini o nei laboratori didattici multimediali e per continuare l’attività di ricerca si affidano ai finanziamenti regionali avendo sempre meno risorse nel bilancio ordinario. Il passaggio di competenza alle Regioni, in materia di documentazione e valorizzazione dei beni culturali, sembra essere stato, almeno in parte, un passo positivo, poiché ha permesso di stabilire nuove leggi, tenendo conto delle direttive nazionali e comunitarie. Le Regioni, infatti, hanno elaborato proprie normative adattate alle esigenze e alle caratteristiche del territorio su cui esercitano più da vicino il controllo. L’aspetto negativo della strutturazione in senso federale di normative ambientali e culturali è rappresentato, tuttavia, dalla disomogeneità d’intervento e di applicazione che si riscontra nelle diverse regioni italiane. Il Trentino Alto Adige e l’Emilia Romagna rappresentano gli esempi più lodevoli per quanto concerne l’applicazione di leggi relative alla tutela, per la realizzazione di sistemi informativi validi e per l’efficace ed immediata comunicazione fornita al cittadino che voglia ottenere indicazioni in merito ai vincoli esistenti. La Regione Veneto ha intrapreso una politica di attenzione per la tutela del territorio e dei beni culturali (intendendo anche il paesaggio) che si spera possa portare a risultati simili a quelli conseguiti dalle regioni più virtuose; nonostante questi sforzi si è ben lontani dal censimento omogeneo e completo dei beni archeologici e dalla realizzazione di sistemi informativi efficaci non solo per la consultazione dei dati ma soprattutto per le esigenze di una corretta pianificazione territoriale. Forse nemmeno oggi, pur con il progredire delle tecniche, delle metodologie e degli strumenti legislativi, si può pensare di avere realmente il “controllo” del territorio e delle evidenze archeologiche che continuamente si palesano in seguito ad arature o a nuovi sbancamenti per fini edilizi o industriali. Tuttavia è doveroso persistere nella ricerca di strumenti utili al conseguimento di questo obiettivo che sembra possa essere raggiunto, anche grazie all’utilizzo delle tecnologie informatiche (in particolare software GIS e comunicazione tramite WEB).

Non disponibile

Nuovi metodi di studio del popolamento del territorio veronese durante la Protostoria: ricerca e proposte di tutela

CANDELATO, Federica
2008-01-01

Abstract

Non disponibile
2008
territorio veronese; protostoria
A partire dalla seconda metà del secolo scorso è aumentata notevolmente la sensibilità verso gli aspetti metodologici della ricerca e verso le tematiche della conservazione e della tutela dei beni archeologici. Tuttavia, pur nel progresso registrato a partire dagli anni settanta in poi, non si è ancora giunti ad un censimento completo dei beni culturali italiani, seppure non siano mancati i tentativi per ottenere questo risultato. Spesso, a giustificazione di questa grave carenza, si cita la ricchezza (in termini di “incontrollabile” quantità) del patrimonio storico, archeologico e artistico d’Italia. Probabilmente le motivazioni di questo fallimento sono diversificate e risentono anche di una diffusa e persistente mancanza di sensibilità verso il “bene culturale” inteso come risorsa (non solo economica). In secondo luogo si assiste alla mancanza di coordinamento tra le istituzioni preposte alla conservazione e alla tutela che spesso sono in conflitto tra loro e con gli enti di ricerca che dovrebbero contribuire alla conoscenza del territorio. La tradizionale suddivisione di competenze tra Musei, Soprintendenze, Università ed Enti di Ricerca, non è più effettiva poiché queste istituzioni perseguono parallelamente molteplici obiettivi (ricerca, didattica, valorizzazione, ecc..) prima distinti e caratteristici di uno o dell’altro ente. La principale prerogativa rimasta esclusivamente alla Soprintendenza è quella della tutela, esercitata a fatica per mancanza di vincoli e per la difficoltà di applicarli quando siano stati imposti. I musei, un tempo intermediari con il territorio e con gli appassionati locali che contribuivano a scoprirlo e a controllarlo, sono spesso chiusi nei magazzini o nei laboratori didattici multimediali e per continuare l’attività di ricerca si affidano ai finanziamenti regionali avendo sempre meno risorse nel bilancio ordinario. Il passaggio di competenza alle Regioni, in materia di documentazione e valorizzazione dei beni culturali, sembra essere stato, almeno in parte, un passo positivo, poiché ha permesso di stabilire nuove leggi, tenendo conto delle direttive nazionali e comunitarie. Le Regioni, infatti, hanno elaborato proprie normative adattate alle esigenze e alle caratteristiche del territorio su cui esercitano più da vicino il controllo. L’aspetto negativo della strutturazione in senso federale di normative ambientali e culturali è rappresentato, tuttavia, dalla disomogeneità d’intervento e di applicazione che si riscontra nelle diverse regioni italiane. Il Trentino Alto Adige e l’Emilia Romagna rappresentano gli esempi più lodevoli per quanto concerne l’applicazione di leggi relative alla tutela, per la realizzazione di sistemi informativi validi e per l’efficace ed immediata comunicazione fornita al cittadino che voglia ottenere indicazioni in merito ai vincoli esistenti. La Regione Veneto ha intrapreso una politica di attenzione per la tutela del territorio e dei beni culturali (intendendo anche il paesaggio) che si spera possa portare a risultati simili a quelli conseguiti dalle regioni più virtuose; nonostante questi sforzi si è ben lontani dal censimento omogeneo e completo dei beni archeologici e dalla realizzazione di sistemi informativi efficaci non solo per la consultazione dei dati ma soprattutto per le esigenze di una corretta pianificazione territoriale. Forse nemmeno oggi, pur con il progredire delle tecniche, delle metodologie e degli strumenti legislativi, si può pensare di avere realmente il “controllo” del territorio e delle evidenze archeologiche che continuamente si palesano in seguito ad arature o a nuovi sbancamenti per fini edilizi o industriali. Tuttavia è doveroso persistere nella ricerca di strumenti utili al conseguimento di questo obiettivo che sembra possa essere raggiunto, anche grazie all’utilizzo delle tecnologie informatiche (in particolare software GIS e comunicazione tramite WEB).
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