La specie botanica Cannabis Sativa L. è ampiamente diffusa in molti paesi del mondo per il largo uso che da migliaia di anni gli esseri umani fanno dei suoi prodotti: le tante varietà (o sottospecie) di questa pianta, che derivano dalla sua plasticità genetica ma anche dall’effetto dell’ambiente e dalla manipolazione dell’uomo, ne consentono usi molto differenti (industriale, alimentare, ricreazionale, medicamentoso). La capacità di sintetizzare cannabinoidi, tra cui il principale è il delta tetraidrocannabinolo (THC), è propria delle varietà da resina, caratterizzate da un potere stupefacente variabile in base a fattori genetici e ambientali, di cui i primi predominanti in condizioni ambientali stabili [1]. I divieti legislativi imposti da molti Stati in merito a coltivazione, distribuzione e consumo delle varietà di cannabis con proprietà stupefacenti hanno quindi determinato un crescente coinvolgimento della comunità forense, tradizionalmente dedicata alla caratterizzazione chimica dei reperti sequestrati sul mercato clandestino ma più recentemente interessata anche all’applicabilità, in questo ambito, di metodi analitici biomolecolari. Diversi approcci di indagine genetica sono stati ad esempio proposti per l’identificazione di un campione come appartenente alla specie Cannabis mediante analisi di sequenza (ITS 1 e ITS 2 [2], DNA ribosomale nucleare [3], sequenze nucleotidiche tra i geni trn L e trn F del DNA cloroplastici), e per l’eventuale individuazione della origine del campione mediante analisi di polimorfismi (RAPDs: randomly amplified polymorphic DNA [4,5] AmpFLPs: amplified fragment length polymorphisms [6,7] i microsatelliti o STRs: short tandem repeats [8-12]). Questi strumenti di indagine genetica - benché potenzialmente utili da un punto di vista investigativo - non consentono tuttavia di spiegare un fenomeno di recente osservazione e che suscita grande apprensione nella collettività in termini di possibili danni alla salute, quale quello del notevole incremento del potere stupefacente dei derivati di Cannabis oggetto di sequestro giudiziario. Infatti, al di là delle imprecise, spesso allarmanti, informazioni fornite dalla stampa a carattere divulgativo italiana [13] ed europea [14], la pertinente letteratura scientifica internazionale [15, 22] come pure l’esperienza dei laboratori nazionali di tossicologia forense [16] e le relazioni di monitoraggio degli organismi politici competenti in materia di tossicodipendenze [17], indicano in effetti un preoccupante aumento della concentrazione di THC (attualmente superiore al 20% rispetto al range dell’1,5% - 5% da sempre registrato [18-21]) della cannabis destinata all’uso voluttuario. Il motivo di questo incremento di ‘potenza’ della cannabis resta comunque ancora sconosciuto. Esso potrebbe, secondo alcuni pareri [22,23] essere legato a sofisticate tecniche di coltivazione basate ad esempio su creazione e selezione di nuove varietà della pianta, ovvero su colture idroponiche effettuate in ambienti a luce e calore controllati. L’avanzare delle conoscenze nel campo della biologia molecolare vegetale lascia, d’altra parte, spazio ad ipotesi concernenti possibili manipolazioni genetiche. Le biotecnologie applicate all’agricoltura hanno infatti negli ultimi decenni aperto ampie prospettive allo sviluppo di nuove varietà vegetali destinate sia alla produzione di alimenti ma anche di fibre tessili, farmaci e legno . Le tecnologie del DNA ricombinante si sono evolute in modo esponenziale perfezionando i protocolli di trasformazione, individuando nuovi vettori di trasformazione e proponendo tecniche di trasformazione avanzate per l’ottenimento di piante transgeniche marker free o migliorate nel controllo dell’espressione transgenica. Per quanto concerne la cannabis ad elevata produzione di THC non si è attualmente a conoscenza della realizzazione di possibili modifiche trangeniche. Tuttavia alcuni studiosi [24] hanno proposto l’applicazione di tecniche di ingegneria genetica anche a piante dotate di tessuti ghiandolari, come lo è la Cannabis Sativa, al fine di implementare la produzione e l’accumulo di alcune sostanze chimiche di interesse. Il THC è noto infatti per essere un prodotto terpenico di specifici tessuti ghiandolari (i tricomi, deputati alla produzione ed all’accumulo di oli essenziali e resine) la cui produzione può, in astratto, essere aumentata mediante l’uso di tecniche di ingegneria genetica. E’ stato inoltre osservato come il gene preposto alla codifica dell’enzima che sintetizza il THC (THCA sintetasi), di recente isolato e sequenziato [25], sia ubicato nei tricomi ghiandolari della pianta laddove si ritiene avvenga la produzione e l’accumulo del THC. La ricerca esposta in questa tesi è stata allora indirizzata dapprima alla tracciabilità di sequenze transgeniche in campioni di cannabis sequestrati sul mercato clandestino; secondariamente allo studio quantitativo e di espressione del gene THCA sintetasi. Per quanto concerne l’applicazione, per campioni di cannabis, di metodi analitici di tracciabilità di sequenze trangeniche, la strategia individuata è stata ovviamente quella di escludere approcci di tipo ELISA non avendo alcuna informazione sull’eventuale presenza di nuove proteine, derivanti da trasformazione genetica, nei nostri campioni mentre è stato scelto un approccio analitico di tipo PCR per tracciare specifiche sequenze nucleotidiche. Poiché, però, non si aveva alcuna conoscenza a priori dell’eventuale presenza di sequenze transgeniche, si è deciso di operare uno screening di sequenze ricorrenti nei vettori comunemente usati per la trasformazione genetica. E’ stata quindi selezionata la sequenza del promotore 35S del virus a mosaico del cavolfiore come quella più comunemente impiegata per il controllo dell’espressione di transgeni, così come la sequenza del terminatore NOS di Agrobacterium tumefaciens, ricorrente nella maggior parte dei vettori di trasformazione presenti commercialmente. Tra i geni marker, introdotti in concomitanza con il transgene per consentire un rapido screening delle piante effettivamente trasformatesi, si sono scelte la sequenza del gene nptII, codificante per resistenza a kanamicina ed il gene reporter GUS. La scelta di tracciare questo pool di sequenze ha consentito di operare uno screening realistico sui campioni di cannabis disponibili, nell’ipotesi di una loro eventuale modifica genetica. Quanto allo studio del gene THCA sintetasi, condotto sia su derivati di cannabis in sequestro giudiziario che su piante fresche coltivate sperimentalmente (previa autorizzazione del Ministero della Salute n. SP/254), sono state effettuate con PCR Real-Time misurazioni del numero di copie del suddetto gene mediante confronto con un gene endogeno avente la caratteristica di essere presente con lo stesso numero di copie in tutte le piante di cannabis alto e basso produttrici, usato quindi come riferimento per la quantificazione del gene target; mediante Reverse Transcriptase in PCR RealTime è stata poi verificata l’espressione della THCA sintetasi in piante di cannabis da resina e da fibra.

not available

Indagini genetiche per la caratterizzazione di derivati di Cannabis Sativa ad alta concentrazione di tetraidrocannabinolo (THC)

CASCINI, FIDELIA
2008-01-01

Abstract

not available
2008
cannabis sativa; tetraidrocannabinolo; thc
La specie botanica Cannabis Sativa L. è ampiamente diffusa in molti paesi del mondo per il largo uso che da migliaia di anni gli esseri umani fanno dei suoi prodotti: le tante varietà (o sottospecie) di questa pianta, che derivano dalla sua plasticità genetica ma anche dall’effetto dell’ambiente e dalla manipolazione dell’uomo, ne consentono usi molto differenti (industriale, alimentare, ricreazionale, medicamentoso). La capacità di sintetizzare cannabinoidi, tra cui il principale è il delta tetraidrocannabinolo (THC), è propria delle varietà da resina, caratterizzate da un potere stupefacente variabile in base a fattori genetici e ambientali, di cui i primi predominanti in condizioni ambientali stabili [1]. I divieti legislativi imposti da molti Stati in merito a coltivazione, distribuzione e consumo delle varietà di cannabis con proprietà stupefacenti hanno quindi determinato un crescente coinvolgimento della comunità forense, tradizionalmente dedicata alla caratterizzazione chimica dei reperti sequestrati sul mercato clandestino ma più recentemente interessata anche all’applicabilità, in questo ambito, di metodi analitici biomolecolari. Diversi approcci di indagine genetica sono stati ad esempio proposti per l’identificazione di un campione come appartenente alla specie Cannabis mediante analisi di sequenza (ITS 1 e ITS 2 [2], DNA ribosomale nucleare [3], sequenze nucleotidiche tra i geni trn L e trn F del DNA cloroplastici), e per l’eventuale individuazione della origine del campione mediante analisi di polimorfismi (RAPDs: randomly amplified polymorphic DNA [4,5] AmpFLPs: amplified fragment length polymorphisms [6,7] i microsatelliti o STRs: short tandem repeats [8-12]). Questi strumenti di indagine genetica - benché potenzialmente utili da un punto di vista investigativo - non consentono tuttavia di spiegare un fenomeno di recente osservazione e che suscita grande apprensione nella collettività in termini di possibili danni alla salute, quale quello del notevole incremento del potere stupefacente dei derivati di Cannabis oggetto di sequestro giudiziario. Infatti, al di là delle imprecise, spesso allarmanti, informazioni fornite dalla stampa a carattere divulgativo italiana [13] ed europea [14], la pertinente letteratura scientifica internazionale [15, 22] come pure l’esperienza dei laboratori nazionali di tossicologia forense [16] e le relazioni di monitoraggio degli organismi politici competenti in materia di tossicodipendenze [17], indicano in effetti un preoccupante aumento della concentrazione di THC (attualmente superiore al 20% rispetto al range dell’1,5% - 5% da sempre registrato [18-21]) della cannabis destinata all’uso voluttuario. Il motivo di questo incremento di ‘potenza’ della cannabis resta comunque ancora sconosciuto. Esso potrebbe, secondo alcuni pareri [22,23] essere legato a sofisticate tecniche di coltivazione basate ad esempio su creazione e selezione di nuove varietà della pianta, ovvero su colture idroponiche effettuate in ambienti a luce e calore controllati. L’avanzare delle conoscenze nel campo della biologia molecolare vegetale lascia, d’altra parte, spazio ad ipotesi concernenti possibili manipolazioni genetiche. Le biotecnologie applicate all’agricoltura hanno infatti negli ultimi decenni aperto ampie prospettive allo sviluppo di nuove varietà vegetali destinate sia alla produzione di alimenti ma anche di fibre tessili, farmaci e legno . Le tecnologie del DNA ricombinante si sono evolute in modo esponenziale perfezionando i protocolli di trasformazione, individuando nuovi vettori di trasformazione e proponendo tecniche di trasformazione avanzate per l’ottenimento di piante transgeniche marker free o migliorate nel controllo dell’espressione transgenica. Per quanto concerne la cannabis ad elevata produzione di THC non si è attualmente a conoscenza della realizzazione di possibili modifiche trangeniche. Tuttavia alcuni studiosi [24] hanno proposto l’applicazione di tecniche di ingegneria genetica anche a piante dotate di tessuti ghiandolari, come lo è la Cannabis Sativa, al fine di implementare la produzione e l’accumulo di alcune sostanze chimiche di interesse. Il THC è noto infatti per essere un prodotto terpenico di specifici tessuti ghiandolari (i tricomi, deputati alla produzione ed all’accumulo di oli essenziali e resine) la cui produzione può, in astratto, essere aumentata mediante l’uso di tecniche di ingegneria genetica. E’ stato inoltre osservato come il gene preposto alla codifica dell’enzima che sintetizza il THC (THCA sintetasi), di recente isolato e sequenziato [25], sia ubicato nei tricomi ghiandolari della pianta laddove si ritiene avvenga la produzione e l’accumulo del THC. La ricerca esposta in questa tesi è stata allora indirizzata dapprima alla tracciabilità di sequenze transgeniche in campioni di cannabis sequestrati sul mercato clandestino; secondariamente allo studio quantitativo e di espressione del gene THCA sintetasi. Per quanto concerne l’applicazione, per campioni di cannabis, di metodi analitici di tracciabilità di sequenze trangeniche, la strategia individuata è stata ovviamente quella di escludere approcci di tipo ELISA non avendo alcuna informazione sull’eventuale presenza di nuove proteine, derivanti da trasformazione genetica, nei nostri campioni mentre è stato scelto un approccio analitico di tipo PCR per tracciare specifiche sequenze nucleotidiche. Poiché, però, non si aveva alcuna conoscenza a priori dell’eventuale presenza di sequenze transgeniche, si è deciso di operare uno screening di sequenze ricorrenti nei vettori comunemente usati per la trasformazione genetica. E’ stata quindi selezionata la sequenza del promotore 35S del virus a mosaico del cavolfiore come quella più comunemente impiegata per il controllo dell’espressione di transgeni, così come la sequenza del terminatore NOS di Agrobacterium tumefaciens, ricorrente nella maggior parte dei vettori di trasformazione presenti commercialmente. Tra i geni marker, introdotti in concomitanza con il transgene per consentire un rapido screening delle piante effettivamente trasformatesi, si sono scelte la sequenza del gene nptII, codificante per resistenza a kanamicina ed il gene reporter GUS. La scelta di tracciare questo pool di sequenze ha consentito di operare uno screening realistico sui campioni di cannabis disponibili, nell’ipotesi di una loro eventuale modifica genetica. Quanto allo studio del gene THCA sintetasi, condotto sia su derivati di cannabis in sequestro giudiziario che su piante fresche coltivate sperimentalmente (previa autorizzazione del Ministero della Salute n. 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