Questa tesi è divisa in due parti, una a carattere metodologico e una a carattere applicativo. La metodologia a cui faccio riferimento è quella che ho ricevuto da Renato Barilli (1935) a partire dall’anno accademico 1990-1991, quando mi iscrissi a un corso dedicato al pittore inglese William Turner presso l’Università di Bologna. E allora: cosa sono la fenomenologia degli stili e la culturologia o scienza della cultura, i due cavalli di battaglia di Barilli nell’approccio allo studio della Storia dell’arte e della cultura in generale? O diciamo meglio: come esse nascono? Qui infatti sta uno dei tratti peculiari della mia ricerca, la convinzione che l’Informale, il movimento artistico internazionale degli anni Quaranta e Cinquanta, ‘partorisca’ la metodologia a cui Barilli, che è stato anche pittore informale, si ispira. Cosa significa questo? Prima di tutto il rifiuto del nesso causa-effetto tipico dell’arte e della critica moderna (per modernità intendo il plesso storico 1450-1789), la prima simboleggiata dalla prospettiva albertiana e dal naturalismo (inteso come rappresentazione mimetico speculare), la seconda dalla filologia di matrice positivista. Ecco così entrare in campo Francesco Arcangeli (1915-1974), uno dei maestri di Barilli, per quanto non per discendenza diretta. Arcangeli intuisce progressivamente, grazie all’opera di alcuni artisti a cui si lega tra cui spicca Pompilio Mandelli, che è ora di passare da una Storia dell’arte quantitativa a una storia dell’arte qualitativa: dalla filologia di Longhi all’individuazione di ’tramandi’, nuclei di una tradizione artistica non codificata. A livello stilistico, questo comporta l’abbandono all’interno dell’opera di uno spazio misurabile, spezzettabile quale quello del naturalismo occidentale, a favore di uno spazio fluido, aperto, prodotto in buona parte dal caso. Insomma, Arcangeli comincia a bombardare - grazie anche a una predisposizione personale, un disturbo psichiatrico bipolare su cui mi soffermo - il nesso causa/effetto cardine della lettura positivista/illuminista dell’opera d’arte del suo maestro Roberto Longhi. Barilli ha la fortuna di assistere a questo esperimento. Bologna, in quel momento storico, è veramente ‘l’ombelico’ della storiografica artistica italiana. Nel capoluogo emiliano si crea infatti una situazione per molti aspetti analoga a quella avutasi pochi anni prima nel deserto texano di Los Alamos con l’esplosione della prima bomba atomica: un’enorme energia viene sprigionata dalla fissione dell’atomo di uranio. Arcangeli, analogamente, bombarda i legami statici che il suo maestro incarna (anche sul piano morale, politico e di pensiero in generale; vengono cioè superati i confini della Storia dell‘arte in senso stretto). Il giovane Barilli assiste entusiasta a quell’evento e ne capisce tutte le potenzialità, con l’abbandono dell’estetica neoidealista/crociana imperante allora in Italia. La mia tesi è così anche il tentativo di storicizzare, per la prima volta, la figura di Renato Barilli, sentita come ancora scomoda all’interno della cultura italiana, accademica e no; lo dimostra indirettamente la reazione chiusa e ostile ricevuta dal mio lavoro in sede di discussione al termine del dottorato. Da qui la necessità da parte mia di andare a rivedere un’opera capitale di questo studioso, La barriera del naturalismo pubblicata da Mursia nel 1964 (ho di proposito seguito l’ultimo corso di Barilli a Bologna prima del suo pensionamento, nel 2007. Nella tesi mi servo di brani tratti da dichiarazioni prese in quel contesto), a cui ho posto come pendant La rivoluzione romantica di Rodolfo Bottacchiari del 1943, un testo conosciuto ma ancora non affrontato con attenzione dalla critica, fondamentale per comprendere lo stacco compiuto da Francesco Arcangeli nei confronti del suo maestro Longhi. Queste due ‘bibbie’ postulano come meglio non si potrebbe il carattere aperto, stratificato, antinaturalistico, anti individualista, ‘irrazionale’, fortemente libidico dell’uomo contemporaneo (che convive ancora, d’altronde, con i forti residui moderni individualisti/borghesi presenti nella nostra società). Da qui, l’esigenza di sondare per sommi capi la figura di Giovanni Pascoli, porta di accesso irrinunciabile ai caratteri qualitativi appena nominati, letto attraverso l’esperienza del materialismo storico-culturale di matrice nordamericana (Marshall McLuhan in primis, da me ricevuto attraverso Barilli). La seconda parte della tesi è un’applicazione delle conclusioni a cui arrivo nelle pagine precedenti, per quanto sia in realtà da porre a monte del mio lavoro. Ho fatto cioè mio un metodo di constatazione sul campo di matrice empirica secondo cui viene prima l’opera e poi le riflessioni su di essa (in verità, nel migliore dei casi, le due ‘crescono’ insieme, parallelamente). Giuseppe Ferrari e Andrea Raccagni sono nella loro prima fase analitici/quantitativi: misurano cioè attentamente lo spazio della tela su cui intendono lavorare. Ferrari è infatti un postimpressionista e subito dopo un neo cézanniano (alla base di entrambe queste poetiche, apparentemente contraddittorie, troviamo il punto-linea-superficie di Euclide rilanciato potentemente in epoca moderna dallo spirito analitico cartesiano); Raccagni è surrealista-neometafisico, e utilizza una pennellata attentamente calcolata. Poi arriva l’Informale, e tutto questo viene abbandonato. Lo spazio viene infatti colto d’emblée, senza misurazioni preventive, all’insegna di un bruciante hic et nunc. Da qui l’utilizzo di soluzioni casuali, autre; il caso agisce infatti come esplosivo plastico posto sulle giunture del pensiero moderno/cartesiano/borghese, e sul naturalismo mimetico speculare che ne è l’espressione più matura. L’Informale di Maria Petroni conferma le peculiarità ‘qualitative’ della nostra epoca. Mi servo della triade freudiana Ego-SuperEgo-Es, dimostrando come quest’ultimo costituisca il serbatoio più generoso della nostra epoca., a fronte delle censure di vecchia matrice borghese tipiche della modernità, simboleggiate anche dalla ‘gabbia’ prospettica e, in letteratura, dall’autore fuori campo onnisciente. L’Informale non è dunque importante solo come fatto storico artistico: la sua comprensione comporta infatti l’accettazione di un nuovo modello di società e di comportamento.

This research is divided in two parts. The first one is methodological, the second one is an application of the first. The methodology I’m referring to is the one I received since 1990-1991 from my teacher, professor Renato Barilli (born in 1935), when I attended a course of him dedicated to the English painter William Turner at the University of Bologna. So, what is phenomenology of style and science of culture, the two main battle horses ridden by Barilli when approaching history of art? Let’s say better: how these disciplines were born? Here you can find one of the most important points of my research, due to the conviction that Abstract Expressionism, the international artistic movement of the Forties and Fifties, influenced the birth of the methodology Barilli officially uses since 1980. What does this mean? First of all, the refuse of the nexus cause/effect so typical of the modern art and critic (as Modernity I mean the period since 1450 to 1789, as Contemporary age the period since 1789 till nowadays), the first one symbolized by Leon Battista Alberti’s perspective and western naturalism (they both have a strong rational print), the second by philology, a discipline born during Positivism. So, here I introduce the presence of Francesco Arcangeli (1915-1974), one of the teacher of Barilli, even if not directly. Arcangeli slowly understands that is the time to pass from a History of Art meant as quantity to one who is meant as quality: so, from philology used by his teacher Longhi to the individuation of ‘bridges’, nucleus of a no codified tradition. At a mere stylistic level, this means the abandon of a measurable space, the one of western naturalism, for a fluid space, open and due also to the hazard. Arcangeli starts to hit the illuminist rational nexus cause/effect he received from his teacher Longhi, and this also for a particular psychological disposition which enables him to catch this important change. The younger Barilli has the chance to see this important ‘experiment’. At that time we can say Bologna is the umbilicus of the Italian artistic historiography. In the Emilian town in fact there’s a situation quite similar to the one that some year before you could find in the Los Alamos desert in Texas, where the first nuclear bomb exploded: a huge energy was spread for the fission of the uranium atom. Similarly Arcangeli hits the static nexus his teacher Roberto Longhi represents, something that involves also moral, politics and thinking. The limits of History of art are so overcome). The young Barilli sees this experiment and, enthusiastic, understands its potentialities, which also involve the overcoming of the new idealist esthetics quite followed in Italy at that time (Benedetto Croce in primis). So my thesis is the first try to study Renato Barilli’s thought and methodology. Barilli still has a position not well accepted from Italian culture, as the discussion of this thesis showed indirectly. My work found an aggressive and close acceptance, and I had to fight in order to defend it. I decided to study a capital critic essay by Barilli, La Barriera del Naturalismo, edited in1964 (I also attended last course of Barilli at University of Bologna, before he retired in 2007); I also studied La Rivoluzione Romantica by Rodolfo Bottacchiari (1943), a book known by critics even if not deeply analyzed, even if important to understand the step forward Arcangeli made compared to his teacher Longhi. These two ‘bibles’ clearly show the open, stratified, no naturalistic, no individualistic, ’irrational’, highly ’erotic’ aspect of contemporary man (near who you find traces of the individualistic/bourgeois modern behave still well spread in our society). I also focalized the important role of Giovanni Pascoli, a writer who is a ’door’ open toward these quality characters; I analyzed Pascoli using technological materialism offered by Marshall McLuhan and by Renato Barilli to me. The second part of my research is an application of the conclusion of the previous pages, even if you can put it at the beginning of the work. I mean I used an empirical method which puts artistic work before any theory (let’s say better, the two have a common life, they grow up together). Giuseppe Ferrari and Andrea Raccagni are analytical at their first period: they carefully measure the space of the canvas. In fact Ferrari is firstly a postimpressionist, and little later he follows a new Cezanne style (at the base of both these two poetics you find the Euclidean geometry, confirmed in Modern Era by Descartes); the young Raccagni is surrealist-metaphysical, and uses a well calculated touch in his works. When Abstract Expressionism arrives, all this is left apart. Space is seen by artist d’emblée, without being measured before, following a hic at nunc (a Latin expression which means ‘here and now’) poetic which follows casual solutions. Casual solutions that qualifies a poetic you may define as ’autre’, a bomb put inside the walls of rational naturalism (a product typical of western culture if you define it as a mimetic representation of actions in art and literature). Maria Peroni’s Abstract Expressionism confirms the ’quality’ character of our time. I used the Freudian trio Ego-SuperEgo-Es, showing that Es is the main distributor of energy of our time, opposed to the closeness thought of Modern Era, symbolized by the perspective cage. So Abstract Expressionism is not only important as an artistic fact: its understanding means the acceptance of a new model of society and behavior.

L'informale di Giuseppe Ferrari, Maria Petroni e Andrea Raccagni

CANELLA, LEONARDO
2009-01-01

Abstract

This research is divided in two parts. The first one is methodological, the second one is an application of the first. The methodology I’m referring to is the one I received since 1990-1991 from my teacher, professor Renato Barilli (born in 1935), when I attended a course of him dedicated to the English painter William Turner at the University of Bologna. So, what is phenomenology of style and science of culture, the two main battle horses ridden by Barilli when approaching history of art? Let’s say better: how these disciplines were born? Here you can find one of the most important points of my research, due to the conviction that Abstract Expressionism, the international artistic movement of the Forties and Fifties, influenced the birth of the methodology Barilli officially uses since 1980. What does this mean? First of all, the refuse of the nexus cause/effect so typical of the modern art and critic (as Modernity I mean the period since 1450 to 1789, as Contemporary age the period since 1789 till nowadays), the first one symbolized by Leon Battista Alberti’s perspective and western naturalism (they both have a strong rational print), the second by philology, a discipline born during Positivism. So, here I introduce the presence of Francesco Arcangeli (1915-1974), one of the teacher of Barilli, even if not directly. Arcangeli slowly understands that is the time to pass from a History of Art meant as quantity to one who is meant as quality: so, from philology used by his teacher Longhi to the individuation of ‘bridges’, nucleus of a no codified tradition. At a mere stylistic level, this means the abandon of a measurable space, the one of western naturalism, for a fluid space, open and due also to the hazard. Arcangeli starts to hit the illuminist rational nexus cause/effect he received from his teacher Longhi, and this also for a particular psychological disposition which enables him to catch this important change. The younger Barilli has the chance to see this important ‘experiment’. At that time we can say Bologna is the umbilicus of the Italian artistic historiography. In the Emilian town in fact there’s a situation quite similar to the one that some year before you could find in the Los Alamos desert in Texas, where the first nuclear bomb exploded: a huge energy was spread for the fission of the uranium atom. Similarly Arcangeli hits the static nexus his teacher Roberto Longhi represents, something that involves also moral, politics and thinking. The limits of History of art are so overcome). The young Barilli sees this experiment and, enthusiastic, understands its potentialities, which also involve the overcoming of the new idealist esthetics quite followed in Italy at that time (Benedetto Croce in primis). So my thesis is the first try to study Renato Barilli’s thought and methodology. Barilli still has a position not well accepted from Italian culture, as the discussion of this thesis showed indirectly. My work found an aggressive and close acceptance, and I had to fight in order to defend it. I decided to study a capital critic essay by Barilli, La Barriera del Naturalismo, edited in1964 (I also attended last course of Barilli at University of Bologna, before he retired in 2007); I also studied La Rivoluzione Romantica by Rodolfo Bottacchiari (1943), a book known by critics even if not deeply analyzed, even if important to understand the step forward Arcangeli made compared to his teacher Longhi. These two ‘bibles’ clearly show the open, stratified, no naturalistic, no individualistic, ’irrational’, highly ’erotic’ aspect of contemporary man (near who you find traces of the individualistic/bourgeois modern behave still well spread in our society). I also focalized the important role of Giovanni Pascoli, a writer who is a ’door’ open toward these quality characters; I analyzed Pascoli using technological materialism offered by Marshall McLuhan and by Renato Barilli to me. The second part of my research is an application of the conclusion of the previous pages, even if you can put it at the beginning of the work. I mean I used an empirical method which puts artistic work before any theory (let’s say better, the two have a common life, they grow up together). Giuseppe Ferrari and Andrea Raccagni are analytical at their first period: they carefully measure the space of the canvas. In fact Ferrari is firstly a postimpressionist, and little later he follows a new Cezanne style (at the base of both these two poetics you find the Euclidean geometry, confirmed in Modern Era by Descartes); the young Raccagni is surrealist-metaphysical, and uses a well calculated touch in his works. When Abstract Expressionism arrives, all this is left apart. Space is seen by artist d’emblée, without being measured before, following a hic at nunc (a Latin expression which means ‘here and now’) poetic which follows casual solutions. Casual solutions that qualifies a poetic you may define as ’autre’, a bomb put inside the walls of rational naturalism (a product typical of western culture if you define it as a mimetic representation of actions in art and literature). Maria Peroni’s Abstract Expressionism confirms the ’quality’ character of our time. I used the Freudian trio Ego-SuperEgo-Es, showing that Es is the main distributor of energy of our time, opposed to the closeness thought of Modern Era, symbolized by the perspective cage. So Abstract Expressionism is not only important as an artistic fact: its understanding means the acceptance of a new model of society and behavior.
2009
Giuseppe Ferrari; Maria Petroni; Andrea Raccagni
Questa tesi è divisa in due parti, una a carattere metodologico e una a carattere applicativo. La metodologia a cui faccio riferimento è quella che ho ricevuto da Renato Barilli (1935) a partire dall’anno accademico 1990-1991, quando mi iscrissi a un corso dedicato al pittore inglese William Turner presso l’Università di Bologna. E allora: cosa sono la fenomenologia degli stili e la culturologia o scienza della cultura, i due cavalli di battaglia di Barilli nell’approccio allo studio della Storia dell’arte e della cultura in generale? O diciamo meglio: come esse nascono? Qui infatti sta uno dei tratti peculiari della mia ricerca, la convinzione che l’Informale, il movimento artistico internazionale degli anni Quaranta e Cinquanta, ‘partorisca’ la metodologia a cui Barilli, che è stato anche pittore informale, si ispira. Cosa significa questo? Prima di tutto il rifiuto del nesso causa-effetto tipico dell’arte e della critica moderna (per modernità intendo il plesso storico 1450-1789), la prima simboleggiata dalla prospettiva albertiana e dal naturalismo (inteso come rappresentazione mimetico speculare), la seconda dalla filologia di matrice positivista. Ecco così entrare in campo Francesco Arcangeli (1915-1974), uno dei maestri di Barilli, per quanto non per discendenza diretta. Arcangeli intuisce progressivamente, grazie all’opera di alcuni artisti a cui si lega tra cui spicca Pompilio Mandelli, che è ora di passare da una Storia dell’arte quantitativa a una storia dell’arte qualitativa: dalla filologia di Longhi all’individuazione di ’tramandi’, nuclei di una tradizione artistica non codificata. A livello stilistico, questo comporta l’abbandono all’interno dell’opera di uno spazio misurabile, spezzettabile quale quello del naturalismo occidentale, a favore di uno spazio fluido, aperto, prodotto in buona parte dal caso. Insomma, Arcangeli comincia a bombardare - grazie anche a una predisposizione personale, un disturbo psichiatrico bipolare su cui mi soffermo - il nesso causa/effetto cardine della lettura positivista/illuminista dell’opera d’arte del suo maestro Roberto Longhi. Barilli ha la fortuna di assistere a questo esperimento. Bologna, in quel momento storico, è veramente ‘l’ombelico’ della storiografica artistica italiana. Nel capoluogo emiliano si crea infatti una situazione per molti aspetti analoga a quella avutasi pochi anni prima nel deserto texano di Los Alamos con l’esplosione della prima bomba atomica: un’enorme energia viene sprigionata dalla fissione dell’atomo di uranio. Arcangeli, analogamente, bombarda i legami statici che il suo maestro incarna (anche sul piano morale, politico e di pensiero in generale; vengono cioè superati i confini della Storia dell‘arte in senso stretto). Il giovane Barilli assiste entusiasta a quell’evento e ne capisce tutte le potenzialità, con l’abbandono dell’estetica neoidealista/crociana imperante allora in Italia. La mia tesi è così anche il tentativo di storicizzare, per la prima volta, la figura di Renato Barilli, sentita come ancora scomoda all’interno della cultura italiana, accademica e no; lo dimostra indirettamente la reazione chiusa e ostile ricevuta dal mio lavoro in sede di discussione al termine del dottorato. Da qui la necessità da parte mia di andare a rivedere un’opera capitale di questo studioso, La barriera del naturalismo pubblicata da Mursia nel 1964 (ho di proposito seguito l’ultimo corso di Barilli a Bologna prima del suo pensionamento, nel 2007. Nella tesi mi servo di brani tratti da dichiarazioni prese in quel contesto), a cui ho posto come pendant La rivoluzione romantica di Rodolfo Bottacchiari del 1943, un testo conosciuto ma ancora non affrontato con attenzione dalla critica, fondamentale per comprendere lo stacco compiuto da Francesco Arcangeli nei confronti del suo maestro Longhi. Queste due ‘bibbie’ postulano come meglio non si potrebbe il carattere aperto, stratificato, antinaturalistico, anti individualista, ‘irrazionale’, fortemente libidico dell’uomo contemporaneo (che convive ancora, d’altronde, con i forti residui moderni individualisti/borghesi presenti nella nostra società). Da qui, l’esigenza di sondare per sommi capi la figura di Giovanni Pascoli, porta di accesso irrinunciabile ai caratteri qualitativi appena nominati, letto attraverso l’esperienza del materialismo storico-culturale di matrice nordamericana (Marshall McLuhan in primis, da me ricevuto attraverso Barilli). La seconda parte della tesi è un’applicazione delle conclusioni a cui arrivo nelle pagine precedenti, per quanto sia in realtà da porre a monte del mio lavoro. Ho fatto cioè mio un metodo di constatazione sul campo di matrice empirica secondo cui viene prima l’opera e poi le riflessioni su di essa (in verità, nel migliore dei casi, le due ‘crescono’ insieme, parallelamente). Giuseppe Ferrari e Andrea Raccagni sono nella loro prima fase analitici/quantitativi: misurano cioè attentamente lo spazio della tela su cui intendono lavorare. Ferrari è infatti un postimpressionista e subito dopo un neo cézanniano (alla base di entrambe queste poetiche, apparentemente contraddittorie, troviamo il punto-linea-superficie di Euclide rilanciato potentemente in epoca moderna dallo spirito analitico cartesiano); Raccagni è surrealista-neometafisico, e utilizza una pennellata attentamente calcolata. Poi arriva l’Informale, e tutto questo viene abbandonato. Lo spazio viene infatti colto d’emblée, senza misurazioni preventive, all’insegna di un bruciante hic et nunc. Da qui l’utilizzo di soluzioni casuali, autre; il caso agisce infatti come esplosivo plastico posto sulle giunture del pensiero moderno/cartesiano/borghese, e sul naturalismo mimetico speculare che ne è l’espressione più matura. L’Informale di Maria Petroni conferma le peculiarità ‘qualitative’ della nostra epoca. Mi servo della triade freudiana Ego-SuperEgo-Es, dimostrando come quest’ultimo costituisca il serbatoio più generoso della nostra epoca., a fronte delle censure di vecchia matrice borghese tipiche della modernità, simboleggiate anche dalla ‘gabbia’ prospettica e, in letteratura, dall’autore fuori campo onnisciente. L’Informale non è dunque importante solo come fatto storico artistico: la sua comprensione comporta infatti l’accettazione di un nuovo modello di società e di comportamento.
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