A Melfi, in Basilicata, i non zingari non ostacolano l’entrata a scuola dei rom e i rom non si rifiutano di frequentarla. Rom e non rom sembrano vivere insieme l’esperienza dell’istruzione pubblica, in una situazione in cui l’attrito intercomunitario è sostanzialmente basso. Il processo storico condiviso della scolarizzazione contempla, da un lato, un alto tasso di analfabetismo nei primi decenni del secolo all’interno di un fenomeno che toccava tutta la regione, ma dall’altro la presenza fin da allora di bambini rom nelle classi. Se nelle classi “Lacio drom” della seconda metà del secolo si reputava un evento eccezionale l’ottenimento della licenza elementare da parte di qualche suo iscritto, a Melfi il primo documento che attesta l’acquisizione del diploma di quinta da parte di un bambino rom è addirittura del 1910! In controtendenza con la situazione nazionale, all’inizio del Duemila scopriamo a Melfi una comunità rom del tutto scolarizzata per lo meno per quanto riguarda le scuole elementari, ambito dell’indagine. Si tratta del risultato di un processo secolare che ha visto all’opera nel corso del Novecento politiche diversificate da parte delle famiglie rom, ma anche politiche di apertura e di profonda democratizzazione da parte dei responsabili scolastici della città. L’idea di partenza era quella di svolgere una ricerca etnografica a scuola, ma nelle odierne classi i rom sono talmente invisibili, che la ricercatrice è riuscita a “visualizzarli” con facilità solo nei documenti d’archivio. Questa totale invisibilità in classe si accompagna fuori della scuola a una specie di “senso della perdita”, che l’etnografa percepisce fra le famiglie rom che in modo più convinto hanno abbracciato la via dell’istruzione. Gli interrogativi che l’autrice si pone diventano allora fondamentali, per i rom e per tante altre minoranze culturali: è possibile una sorta di “terza via”, una via che eviti sia il mantenimento dell’identità attraverso la fallimentare ghettizzazione delle scuole “etniche”, quali erano di fatto le scuole “Lacio drom”, sia un successo scolastico e sociale che passa attraverso un’assimilazione di fatto, che può portare gli interessati fino ai confini del timore e del dolore di una “scomparsa”?

Un secolo di scuola. I rom di Melfi

PONTRANDOLFO, Stefania
2004-01-01

Abstract

A Melfi, in Basilicata, i non zingari non ostacolano l’entrata a scuola dei rom e i rom non si rifiutano di frequentarla. Rom e non rom sembrano vivere insieme l’esperienza dell’istruzione pubblica, in una situazione in cui l’attrito intercomunitario è sostanzialmente basso. Il processo storico condiviso della scolarizzazione contempla, da un lato, un alto tasso di analfabetismo nei primi decenni del secolo all’interno di un fenomeno che toccava tutta la regione, ma dall’altro la presenza fin da allora di bambini rom nelle classi. Se nelle classi “Lacio drom” della seconda metà del secolo si reputava un evento eccezionale l’ottenimento della licenza elementare da parte di qualche suo iscritto, a Melfi il primo documento che attesta l’acquisizione del diploma di quinta da parte di un bambino rom è addirittura del 1910! In controtendenza con la situazione nazionale, all’inizio del Duemila scopriamo a Melfi una comunità rom del tutto scolarizzata per lo meno per quanto riguarda le scuole elementari, ambito dell’indagine. Si tratta del risultato di un processo secolare che ha visto all’opera nel corso del Novecento politiche diversificate da parte delle famiglie rom, ma anche politiche di apertura e di profonda democratizzazione da parte dei responsabili scolastici della città. L’idea di partenza era quella di svolgere una ricerca etnografica a scuola, ma nelle odierne classi i rom sono talmente invisibili, che la ricercatrice è riuscita a “visualizzarli” con facilità solo nei documenti d’archivio. Questa totale invisibilità in classe si accompagna fuori della scuola a una specie di “senso della perdita”, che l’etnografa percepisce fra le famiglie rom che in modo più convinto hanno abbracciato la via dell’istruzione. Gli interrogativi che l’autrice si pone diventano allora fondamentali, per i rom e per tante altre minoranze culturali: è possibile una sorta di “terza via”, una via che eviti sia il mantenimento dell’identità attraverso la fallimentare ghettizzazione delle scuole “etniche”, quali erano di fatto le scuole “Lacio drom”, sia un successo scolastico e sociale che passa attraverso un’assimilazione di fatto, che può portare gli interessati fino ai confini del timore e del dolore di una “scomparsa”?
2004
887975328
Antropologia storica; rom Italia meridionale; scolarizzazione
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/327300
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact