Le pronunce analizzate nell’ambito dei conflitti di attribuzioni rappresentano paradigmaticamente l’ambiguità dell’approccio della Corte costituzionale al precedente giudiziario. Da un lato, si è potuto verificare come il precedente richiamato venga generalmente osservato o, comunque, ne venga argomentato esaurientemente il distacco laddove emerga la necessità di stabilizzare principi diversi. Dall’altro lato, si è però rilevato come, in presenza di ragioni contingenti che rendano opportuno aggirare il precedente nel caso di specie, la Corte non abbia remore nel contraddirlo anche solo occasionalmente, spesso però mascherando il proprio operato attraverso un uso non obiettivo delle pregresse rationes decidendi. Con ciò, si conferma l’ipotesi della non vincolatività del precedente giudiziario, ma pare nondimeno possibile ravvisare l’implicita percezione che la Corte ha della continuità giurisprudenziale come un valore da perseguire. Questa percezione valoriale da parte della Corte risponderebbe non già ad un’esigenza di autolegittimazione dei propri poteri, bensì dalla particolare concezione che essa ha del proprio ruolo nei giudizi sui conflitti: ruolo di tutore ultimo della forma di governo e degli equilibri costituzionali, laddove fratture politico-istituzionali non abbiano potuto trovare adeguata composizione nelle diverse sedi di concertazione operanti in prima battuta. Il tentativo di fornire alle parti uno strumentario idoneo a prevenire l’insorgere di futuri conflitti emergerebbe dallo stesso stile delle sentenze costituzionali, in cui la Corte è portata a formulare le rationes decidendi alla stregua di norme generali e astratte. Peraltro, l’applicazione di una ratio decidendi – pur così formulata – a contesti diversi da quello originario resterebbe affidata al mero “consenso disarmato” dei soggetti e organi costituzionali. L’eventuale sua violazione darà dunque avvio ad un processo di destrutturazione della (norma desumibile dalla) ratio decidendi che il precedente esprime, il cui arbitro non potrà che essere, ancora una volta, la Corte costituzionale. Il precedente giudiziario diventa, così, uno strumento per la salvaguardia in senso diacronico della stabilità di delicati equilibri costituzionali. Una continuità giurisprudenziale in questo settore della giustizia costituzionale potrà, allora, aversi fintanto che l’applicazione del precedente stesso risulti funzionale al mantenimento di siffatti equilibri, salvo cedere laddove ne venga invece riconosciuta l’inadeguatezza in relazione al caso di specie.

Il precedente giudiziario nel conflitto di attribuzioni. Analisi della giurisprudenza costituzionale in tema di potere estero regionale

ANDRETTO, Luca
2008-01-01

Abstract

Le pronunce analizzate nell’ambito dei conflitti di attribuzioni rappresentano paradigmaticamente l’ambiguità dell’approccio della Corte costituzionale al precedente giudiziario. Da un lato, si è potuto verificare come il precedente richiamato venga generalmente osservato o, comunque, ne venga argomentato esaurientemente il distacco laddove emerga la necessità di stabilizzare principi diversi. Dall’altro lato, si è però rilevato come, in presenza di ragioni contingenti che rendano opportuno aggirare il precedente nel caso di specie, la Corte non abbia remore nel contraddirlo anche solo occasionalmente, spesso però mascherando il proprio operato attraverso un uso non obiettivo delle pregresse rationes decidendi. Con ciò, si conferma l’ipotesi della non vincolatività del precedente giudiziario, ma pare nondimeno possibile ravvisare l’implicita percezione che la Corte ha della continuità giurisprudenziale come un valore da perseguire. Questa percezione valoriale da parte della Corte risponderebbe non già ad un’esigenza di autolegittimazione dei propri poteri, bensì dalla particolare concezione che essa ha del proprio ruolo nei giudizi sui conflitti: ruolo di tutore ultimo della forma di governo e degli equilibri costituzionali, laddove fratture politico-istituzionali non abbiano potuto trovare adeguata composizione nelle diverse sedi di concertazione operanti in prima battuta. Il tentativo di fornire alle parti uno strumentario idoneo a prevenire l’insorgere di futuri conflitti emergerebbe dallo stesso stile delle sentenze costituzionali, in cui la Corte è portata a formulare le rationes decidendi alla stregua di norme generali e astratte. Peraltro, l’applicazione di una ratio decidendi – pur così formulata – a contesti diversi da quello originario resterebbe affidata al mero “consenso disarmato” dei soggetti e organi costituzionali. L’eventuale sua violazione darà dunque avvio ad un processo di destrutturazione della (norma desumibile dalla) ratio decidendi che il precedente esprime, il cui arbitro non potrà che essere, ancora una volta, la Corte costituzionale. Il precedente giudiziario diventa, così, uno strumento per la salvaguardia in senso diacronico della stabilità di delicati equilibri costituzionali. Una continuità giurisprudenziale in questo settore della giustizia costituzionale potrà, allora, aversi fintanto che l’applicazione del precedente stesso risulti funzionale al mantenimento di siffatti equilibri, salvo cedere laddove ne venga invece riconosciuta l’inadeguatezza in relazione al caso di specie.
2008
7888217295431
precedente; Corte costituzionale; conflitto di attribuzioni; potere estero; Regioni
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