La monografia affronta il problema della rilevanza, sul decorso della prescrizione, degli impedimenti di mero fatto all’esercizio dei diritti, avendo precipuo riguardo all’ordinamento giuridico italiano, ma tentando anche, al tempo stesso, di insinuarsi nel vivace dibattito internazionale sviluppatosi in argomento. L’a., innanzi tutto, illustra le comuni convinzioni proprie della dottrina e della giurisprudenza assolutamente prevalenti in Italia, secondo cui gli impedimenti di mero fatto non tassativamente ed esplicitamente previsti dalla legge (per esempio, per limitarsi ai casi più eclatanti, la forza maggiore e la ragionevole ignoranza delle circostanze di fatto poste a fondamento del proprio diritto o dell’identità della controparte) non potrebbero avere, in linea di principio, alcun tipo di efficacia sul decorso della prescrizione. Ricostruito – partendo dal diritto romano, passando per il diritto medievale e attraversando quindi la moderna età delle codificazioni – il percorso storico-giuridico che ha portato all’affermazione delle comuni convinzioni italiane, l’a. pone quindi queste ultime a confronto con le più recenti e significative evoluzioni verificatesi in materia nel contesto giuridico europeo ed internazionale, giungendo a definirle notevolmente arretrate, in quanto espressione di una sensibilità che appare, in detto contesto, ormai da tempo ampiamente mutata. Particolarmente significativa è la comparazione con la Schuldrechtsmodernisierung tedesca del 2002, in seguito alla quale la disciplina della Verjährung contenuta nel BGB contempla, oltre alla höhere Gewalt di cui al § 206, anche la Unkenntnis, sia pure entro i precisi limiti posti dal § 199. Non mancano, poi, altri significativi termini di comparazione. Per limitarsi a fare un solo esempio, in Francia, il Code civil – che l’a. non poteva ovviamente considerare altro che nella versione precedente l’entrata in vigore della più recente legge n. 561 del 2008, intitolata «portant réforme de la prescription en matière civile» – sembrava, a prima vista, contenere una disciplina estremamente restrittiva nei confronti degli impedimenti di mero fatto atipici – ciò che risultava evidente già solo dalla formulazione letterale dell’art. 2251, ai sensi del quale «La prescription court contre toutes personnes, à moins qu’elles ne soient dans quelque exception établie par une loi» –. Ciononostante, la giurisprudenza, ormai da molti decenni, pressoché pacificamente riconosceva, in favore del titolare del diritto venutosi a trovare, per cause di force majeure, e in concomitanza con lo spirare del termine di prescrizione, nella impossibilità di esercitare il diritto medesimo, una sorta di restitutio in integrum, nel momento in cui ammetteva che il diritto, a rigore già prescrittosi, potesse comunque essere esercitato, quando l’impedimento venisse meno, sia pure per il solo breve arco di tempo ritenuto dal giudice strettamente indispensabile a tal fine: una restitutio in integrum che non può essere confusa, perciò, con una causa di sospensione della prescrizione (in quanto a una causa di sospensione dovrebbe corrispondere un allungamento del termine pari a tutto il tempo di persistenza dell’impedimento), ed è paragonabile a quella che era solito concedere, a suo tempo, il pretore romano. Questo orientamento giurisprudenziale – dopo essere stato, in un primo momento, considerato addirittura contra legem – veniva ormai condiviso anche dalla prevalente dottrina francese, che aveva contribuito a precisarne le basi teoriche, ancorandole direttamente al principio generale della force majeure (oppure, talvolta, al principio ad impossibilia nemo tenetur). Con la legge n. 561 del 2008, peraltro, il diritto francese sembra essersi notevolmente avvicinato al modello tedesco, anche se permangono significative differenze di disciplina. Individuata la precisa collocazione, sul piano storico e comparatistico, delle comuni convinzioni italiane, l’a. si dedica ad una più puntuale critica delle medesime, ponendo in evidenza come esse si fondino, sostanzialmente, su due diverse e concorrenti argomentazioni, entrambe però – ad avviso dell’a. – infondate. La prima argomentazione fa riferimento alla Relazione al Re, dove, al punto n. 1198, testualmente si afferma che l’«art. 2935 […] dà formulazione legislativa al principio che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere; e l’espressione deve essere intesa con riferimento alla possibilità legale, non influendo sul decorso della prescrizione, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l’impossibilità di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto». A questa argomentazione, è per l’a. agevole obiettare che la più autorevole dottrina, non solo italiana, occupatasi di metodologia della scienza giuridica considera le argomentazioni fondate sui materiali privi di forza di legge se non del tutto irrilevanti, quantomeno sicuramente non decisive, potendosi, in ultima analisi, considerarle idonee solo ad adiuvare conclusioni che siano già state aliunde ben più saldamente fondate (p. 76). La seconda argomentazione fa riferimento al principio di certezza del diritto, che informerebbe di sé tutto l’istituto della prescrizione, e che, in estrema sintesi, imporrebbe di limitare il più possibile l’applicazione dei meccanismi giuridici – sospensione od altri – idonei a posticipare, e quindi a rendere più “incerto” il prodursi della prescrizione stessa. Contro un siffatto modo di ragionare, l’a. obietta come, nell’ambito della più autorevole dottrina europea occupatasi di prescrizione, sia dato rinvenire anche impostazioni diverse da quella appena menzionata, e, cioè, impostazioni dirette ad intendere il principio di certezza del diritto, con riguardo alla materia che qui interessa, non quale espressione di non meglio precisati interessi pubblici né quale espressione della esigenza di tutelare il solo interesse privato del soggetto che si avvantaggerebbe dal prodursi della prescrizione, bensì come principio da contestualizzare nell’ottica di un equilibrato bilanciamento degli interessi privati contrapposti coinvolti nella vicenda, e, cioè, nell’ottica della tutela anche dell’interesse del titolare del diritto minacciato dalla prescrizione, il quale mira a poter esercitare la pretesa il più a lungo possibile, o, quanto meno, ad avere «a fair chance of pursuing his claim» (R. ZIMMERMANN, Comparative Foundations of a European Law of Set-off and Prescription, Oxford 2002, p. 131). Impostazioni, quelle da ultimo accennate, che l’a. dimostra poi essere perfettamente coerenti con la complessiva disciplina dettata dal codice civile italiano in materia di prescrizione in genere (pp. 88-103). Chiusa in questo modo – cioè con la illustrazione non solo dell’arretratezza, ma anche della infondatezza delle comuni convinzioni italiane – la pars destruens della monografia, l’a. si pone l’obiettivo – dando così inizio alla pars construens – di tentare, già de iure condito, di percorrere vie diverse da quella tradizionale anche in relazione al diritto italiano. Così, dovendocisi muovere sul piano del princìpi generali (stante l’assenza, negli articoli dettati in materia, di inequivocabili indicazioni di carattere testuale), viene invocato il principio di autoresponsabilità: il principio, cioè, in forza del quale – in via di prima approssimazione, e almeno stando all’orientamento dottrinale che sembra oggi avere acquistato una posizione di preminenza – un determinato soggetto deve ritenersi esposto alle conseguenze negative derivanti dai comportamenti da lui posti in essere in violazione di suoi interessi (salvo, comunque, il naturale prodursi di effetti indiretti sugli interessi di altri soggetti). L’a. si diffonde ampiamente nel tentativo di dimostrare per quali motivi (anche) la decorrenza della prescrizione dovrebbe intendersi disciplinata dal principio generale appena accennato (pp. 108-133), ricordando altresì che autorevoli giuristi italiani (tra gli altri, S. PUGLIATTI, voce Autoresponsabilità, in Enc. dir., IV, Milano 1959, p. 458) sono già giunti – più o meno incidentalmente – a questa conclusione, e che anche la dottrina tedesca (tra gli altri, F. PETERS, Verjährung, in J. Von Staudinger, Kommentar zum Bürgerlichen Gesetzbuch, §§ 164-240, Berlin 2004, pp. 538 e 672) sembra accogliere una prospettiva di questo tipo, ragionando di una Obliegenheit di esercitare la pretesa allo scopo di evitarne la prescrizione, nonché di un Verschulden gegen sich selbst derivante dalla eventuale inosservanza di detta Obliegenheit (e rappresentato appunto dal prodursi della prescrizione); Verschulden gegen sich selbst che, però, non potrebbe riscontrarsi in presenza dei più gravi e importanti impedimenti di mero fatto (ed ecco il riferimento alle già menzionate höhere Gewalt e Unkenntnis). Dimostrata l’applicabilità del principio generale di autoresponsabilità (anche) alla decorrenza della prescrizione, l’a. illustra poi le conseguenze che possono essere tratte dalle sue conclusioni, ricordando, tra l’altro, come la dottrina italiana che più di recente si è occupata di detto principio sia giunta alla conclusione che, nelle ipotesi fondate esclusivamente su un comportamento omissivo di un determinato soggetto – qual è anche quello di chi, rimanendo inerte, vede prescriversi il suo diritto –, questi dovrebbe, almeno in linea di principio, e salva la sussistenza di inequivocabili indicazioni normative di segno opposto, andare esente da autoresponsabilità, qualora sia in grado di provare di avere tenuto tale comportamento solo perché si trovava in una condizione di impossibilità materiale a compiere un’attività diversa: «la norma che vincola Tizio a certe conseguenze (solo) ove Tizio abbia omesso certi comportamenti, tien conto della sua posizione e gli offre una “possibilità di reazione”. Se questa possibilità non avesse un minimo di effettività la norma così congegnata risulterebbe intrinsecamente contraddittoria» (V. CAREDDA, Autoresponsabilità e autonomia privata, Torino 2004, p. 154). Sulla scia di questa ed altre indicazioni, l’a. ribalta le comuni convinzioni illustrate all’inizio, procedendo quindi a precisare – anche per mezzo di una ricca esemplificazione – i contenuti della nozione di impossibilità materiale (cioè di fatto) appena indicata (alla quale vengono equiparate, sotto il profilo degli effetti dal punto di vista della prescrizione, anche fattispecie classificabili in termini di inesigibilità [Unzumutbarkeit]), nonché a chiarire attraverso quale meccanismo giuridico dovrebbe operare l’esenzione da autoresponsabilità da prescrizione poco fa prospettata: non una sospensione atipica, che comporterebbe il rischio di un allungamento pressoché senza fine dei termini di prescrizione (e quindi il rischio di uno svuotamento di significato pratico dell’istituto stesso), bensì un rimedio idoneo ad incidere solo più lievemente sul decorso della prescrizione, cioè una restitutio in integrum, del tipo di quella applicata dal pretore romano e, in età moderna, almeno prima dell’entrata in vigore della legge n. 561 del 2008, dai giudici francesi.
Decorrenza della prescrizione e autoresponsabilità
TESCARO, Mauro
2006-01-01
Abstract
La monografia affronta il problema della rilevanza, sul decorso della prescrizione, degli impedimenti di mero fatto all’esercizio dei diritti, avendo precipuo riguardo all’ordinamento giuridico italiano, ma tentando anche, al tempo stesso, di insinuarsi nel vivace dibattito internazionale sviluppatosi in argomento. L’a., innanzi tutto, illustra le comuni convinzioni proprie della dottrina e della giurisprudenza assolutamente prevalenti in Italia, secondo cui gli impedimenti di mero fatto non tassativamente ed esplicitamente previsti dalla legge (per esempio, per limitarsi ai casi più eclatanti, la forza maggiore e la ragionevole ignoranza delle circostanze di fatto poste a fondamento del proprio diritto o dell’identità della controparte) non potrebbero avere, in linea di principio, alcun tipo di efficacia sul decorso della prescrizione. Ricostruito – partendo dal diritto romano, passando per il diritto medievale e attraversando quindi la moderna età delle codificazioni – il percorso storico-giuridico che ha portato all’affermazione delle comuni convinzioni italiane, l’a. pone quindi queste ultime a confronto con le più recenti e significative evoluzioni verificatesi in materia nel contesto giuridico europeo ed internazionale, giungendo a definirle notevolmente arretrate, in quanto espressione di una sensibilità che appare, in detto contesto, ormai da tempo ampiamente mutata. Particolarmente significativa è la comparazione con la Schuldrechtsmodernisierung tedesca del 2002, in seguito alla quale la disciplina della Verjährung contenuta nel BGB contempla, oltre alla höhere Gewalt di cui al § 206, anche la Unkenntnis, sia pure entro i precisi limiti posti dal § 199. Non mancano, poi, altri significativi termini di comparazione. Per limitarsi a fare un solo esempio, in Francia, il Code civil – che l’a. non poteva ovviamente considerare altro che nella versione precedente l’entrata in vigore della più recente legge n. 561 del 2008, intitolata «portant réforme de la prescription en matière civile» – sembrava, a prima vista, contenere una disciplina estremamente restrittiva nei confronti degli impedimenti di mero fatto atipici – ciò che risultava evidente già solo dalla formulazione letterale dell’art. 2251, ai sensi del quale «La prescription court contre toutes personnes, à moins qu’elles ne soient dans quelque exception établie par une loi» –. Ciononostante, la giurisprudenza, ormai da molti decenni, pressoché pacificamente riconosceva, in favore del titolare del diritto venutosi a trovare, per cause di force majeure, e in concomitanza con lo spirare del termine di prescrizione, nella impossibilità di esercitare il diritto medesimo, una sorta di restitutio in integrum, nel momento in cui ammetteva che il diritto, a rigore già prescrittosi, potesse comunque essere esercitato, quando l’impedimento venisse meno, sia pure per il solo breve arco di tempo ritenuto dal giudice strettamente indispensabile a tal fine: una restitutio in integrum che non può essere confusa, perciò, con una causa di sospensione della prescrizione (in quanto a una causa di sospensione dovrebbe corrispondere un allungamento del termine pari a tutto il tempo di persistenza dell’impedimento), ed è paragonabile a quella che era solito concedere, a suo tempo, il pretore romano. Questo orientamento giurisprudenziale – dopo essere stato, in un primo momento, considerato addirittura contra legem – veniva ormai condiviso anche dalla prevalente dottrina francese, che aveva contribuito a precisarne le basi teoriche, ancorandole direttamente al principio generale della force majeure (oppure, talvolta, al principio ad impossibilia nemo tenetur). Con la legge n. 561 del 2008, peraltro, il diritto francese sembra essersi notevolmente avvicinato al modello tedesco, anche se permangono significative differenze di disciplina. Individuata la precisa collocazione, sul piano storico e comparatistico, delle comuni convinzioni italiane, l’a. si dedica ad una più puntuale critica delle medesime, ponendo in evidenza come esse si fondino, sostanzialmente, su due diverse e concorrenti argomentazioni, entrambe però – ad avviso dell’a. – infondate. La prima argomentazione fa riferimento alla Relazione al Re, dove, al punto n. 1198, testualmente si afferma che l’«art. 2935 […] dà formulazione legislativa al principio che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere; e l’espressione deve essere intesa con riferimento alla possibilità legale, non influendo sul decorso della prescrizione, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l’impossibilità di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto». A questa argomentazione, è per l’a. agevole obiettare che la più autorevole dottrina, non solo italiana, occupatasi di metodologia della scienza giuridica considera le argomentazioni fondate sui materiali privi di forza di legge se non del tutto irrilevanti, quantomeno sicuramente non decisive, potendosi, in ultima analisi, considerarle idonee solo ad adiuvare conclusioni che siano già state aliunde ben più saldamente fondate (p. 76). La seconda argomentazione fa riferimento al principio di certezza del diritto, che informerebbe di sé tutto l’istituto della prescrizione, e che, in estrema sintesi, imporrebbe di limitare il più possibile l’applicazione dei meccanismi giuridici – sospensione od altri – idonei a posticipare, e quindi a rendere più “incerto” il prodursi della prescrizione stessa. Contro un siffatto modo di ragionare, l’a. obietta come, nell’ambito della più autorevole dottrina europea occupatasi di prescrizione, sia dato rinvenire anche impostazioni diverse da quella appena menzionata, e, cioè, impostazioni dirette ad intendere il principio di certezza del diritto, con riguardo alla materia che qui interessa, non quale espressione di non meglio precisati interessi pubblici né quale espressione della esigenza di tutelare il solo interesse privato del soggetto che si avvantaggerebbe dal prodursi della prescrizione, bensì come principio da contestualizzare nell’ottica di un equilibrato bilanciamento degli interessi privati contrapposti coinvolti nella vicenda, e, cioè, nell’ottica della tutela anche dell’interesse del titolare del diritto minacciato dalla prescrizione, il quale mira a poter esercitare la pretesa il più a lungo possibile, o, quanto meno, ad avere «a fair chance of pursuing his claim» (R. ZIMMERMANN, Comparative Foundations of a European Law of Set-off and Prescription, Oxford 2002, p. 131). Impostazioni, quelle da ultimo accennate, che l’a. dimostra poi essere perfettamente coerenti con la complessiva disciplina dettata dal codice civile italiano in materia di prescrizione in genere (pp. 88-103). Chiusa in questo modo – cioè con la illustrazione non solo dell’arretratezza, ma anche della infondatezza delle comuni convinzioni italiane – la pars destruens della monografia, l’a. si pone l’obiettivo – dando così inizio alla pars construens – di tentare, già de iure condito, di percorrere vie diverse da quella tradizionale anche in relazione al diritto italiano. Così, dovendocisi muovere sul piano del princìpi generali (stante l’assenza, negli articoli dettati in materia, di inequivocabili indicazioni di carattere testuale), viene invocato il principio di autoresponsabilità: il principio, cioè, in forza del quale – in via di prima approssimazione, e almeno stando all’orientamento dottrinale che sembra oggi avere acquistato una posizione di preminenza – un determinato soggetto deve ritenersi esposto alle conseguenze negative derivanti dai comportamenti da lui posti in essere in violazione di suoi interessi (salvo, comunque, il naturale prodursi di effetti indiretti sugli interessi di altri soggetti). L’a. si diffonde ampiamente nel tentativo di dimostrare per quali motivi (anche) la decorrenza della prescrizione dovrebbe intendersi disciplinata dal principio generale appena accennato (pp. 108-133), ricordando altresì che autorevoli giuristi italiani (tra gli altri, S. PUGLIATTI, voce Autoresponsabilità, in Enc. dir., IV, Milano 1959, p. 458) sono già giunti – più o meno incidentalmente – a questa conclusione, e che anche la dottrina tedesca (tra gli altri, F. PETERS, Verjährung, in J. Von Staudinger, Kommentar zum Bürgerlichen Gesetzbuch, §§ 164-240, Berlin 2004, pp. 538 e 672) sembra accogliere una prospettiva di questo tipo, ragionando di una Obliegenheit di esercitare la pretesa allo scopo di evitarne la prescrizione, nonché di un Verschulden gegen sich selbst derivante dalla eventuale inosservanza di detta Obliegenheit (e rappresentato appunto dal prodursi della prescrizione); Verschulden gegen sich selbst che, però, non potrebbe riscontrarsi in presenza dei più gravi e importanti impedimenti di mero fatto (ed ecco il riferimento alle già menzionate höhere Gewalt e Unkenntnis). Dimostrata l’applicabilità del principio generale di autoresponsabilità (anche) alla decorrenza della prescrizione, l’a. illustra poi le conseguenze che possono essere tratte dalle sue conclusioni, ricordando, tra l’altro, come la dottrina italiana che più di recente si è occupata di detto principio sia giunta alla conclusione che, nelle ipotesi fondate esclusivamente su un comportamento omissivo di un determinato soggetto – qual è anche quello di chi, rimanendo inerte, vede prescriversi il suo diritto –, questi dovrebbe, almeno in linea di principio, e salva la sussistenza di inequivocabili indicazioni normative di segno opposto, andare esente da autoresponsabilità, qualora sia in grado di provare di avere tenuto tale comportamento solo perché si trovava in una condizione di impossibilità materiale a compiere un’attività diversa: «la norma che vincola Tizio a certe conseguenze (solo) ove Tizio abbia omesso certi comportamenti, tien conto della sua posizione e gli offre una “possibilità di reazione”. Se questa possibilità non avesse un minimo di effettività la norma così congegnata risulterebbe intrinsecamente contraddittoria» (V. CAREDDA, Autoresponsabilità e autonomia privata, Torino 2004, p. 154). Sulla scia di questa ed altre indicazioni, l’a. ribalta le comuni convinzioni illustrate all’inizio, procedendo quindi a precisare – anche per mezzo di una ricca esemplificazione – i contenuti della nozione di impossibilità materiale (cioè di fatto) appena indicata (alla quale vengono equiparate, sotto il profilo degli effetti dal punto di vista della prescrizione, anche fattispecie classificabili in termini di inesigibilità [Unzumutbarkeit]), nonché a chiarire attraverso quale meccanismo giuridico dovrebbe operare l’esenzione da autoresponsabilità da prescrizione poco fa prospettata: non una sospensione atipica, che comporterebbe il rischio di un allungamento pressoché senza fine dei termini di prescrizione (e quindi il rischio di uno svuotamento di significato pratico dell’istituto stesso), bensì un rimedio idoneo ad incidere solo più lievemente sul decorso della prescrizione, cioè una restitutio in integrum, del tipo di quella applicata dal pretore romano e, in età moderna, almeno prima dell’entrata in vigore della legge n. 561 del 2008, dai giudici francesi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.