Interrogarsi sull’essenza della filosofia svizzera, come fece Anna Tumarkin in una famosa monografia, vuol dire cercare di individuare il ciò senza di cui la filosofia svizzera non sarebbe filosofia, insomma cosa sia τό ελβετικόν della filosofia. La contemplazione di una natura maestosa, sublime e ostile, l’esperienza politica e sociale di un paese con tre lingue e altrettante mentalità è stata la causa efficiente della composizione di eccellenti opere storiche, giuridiche, politiche, di grandi romanzi e di opere di filosofia pratica e pedagogia, ma purtroppo, come notava Daniel Christoff, non a una tradizione di filosofia teoretica nella quale i problemi partici vengano affrontati in modo speculativo e secondo una piano teorico . Scriveva il filosofo del diritto Hans Ryffel che la caratteristica dell’attività filosofica svizzera «la si può vedere principalmente nella diffidenza verso le posizioni estreme e verso una filosofia sistematica, dogmatica e troppo astratta, come pure nella connessione di riflessione filosofica e vita pratica dell’esistenza morale individuale o della società nella educazione e nella politica. Ne deriva che la Svizzera in conseguenza della sua unione di tre lingue e culture partecipa, assai più che non altri paesi, alla vita spirituale di diverse cerchie culturali e tende a un piano comune o almeno alla molteplicità della vita spirituale». Non si ha difficoltà a riconoscere che le peculiarità della filosofia elvetica nel frattempo sono divenute topiche, tanto che Christoph Dejung non ha esitato a proporne un elenco in cinque punti: 1) non è accademica, 2) è politica e pratica, 3) vive di una fede implicita, 4) è concreta e realista e infine 5) è pedagogica . Un dato di fatto ineliminabile resta dunque la divisione linguistica e continuano a far parte della memoria identitaria le ferite lasciate dalle guerre di religione prima della creazione dello stato nazionale, alla fine della guerra dei Trentanni, nel 1648, per tacere, infine, delle ferite lasciate, nella Svizzera tedesca, dal Kulturkampf anticattolico della seconda metà dell’Ottocento. Il tutto ha avuto come conseguenza lo stabilirsi di un atteggiamento di grande tolleranza e neutralità nella vita pubblica e spesso anche in quella delle idee.

Fra identità elvetica e apertura cosmopolitica: l'essenza della filosofia svizzera

POZZO, Riccardo
2008-01-01

Abstract

Interrogarsi sull’essenza della filosofia svizzera, come fece Anna Tumarkin in una famosa monografia, vuol dire cercare di individuare il ciò senza di cui la filosofia svizzera non sarebbe filosofia, insomma cosa sia τό ελβετικόν della filosofia. La contemplazione di una natura maestosa, sublime e ostile, l’esperienza politica e sociale di un paese con tre lingue e altrettante mentalità è stata la causa efficiente della composizione di eccellenti opere storiche, giuridiche, politiche, di grandi romanzi e di opere di filosofia pratica e pedagogia, ma purtroppo, come notava Daniel Christoff, non a una tradizione di filosofia teoretica nella quale i problemi partici vengano affrontati in modo speculativo e secondo una piano teorico . Scriveva il filosofo del diritto Hans Ryffel che la caratteristica dell’attività filosofica svizzera «la si può vedere principalmente nella diffidenza verso le posizioni estreme e verso una filosofia sistematica, dogmatica e troppo astratta, come pure nella connessione di riflessione filosofica e vita pratica dell’esistenza morale individuale o della società nella educazione e nella politica. Ne deriva che la Svizzera in conseguenza della sua unione di tre lingue e culture partecipa, assai più che non altri paesi, alla vita spirituale di diverse cerchie culturali e tende a un piano comune o almeno alla molteplicità della vita spirituale». Non si ha difficoltà a riconoscere che le peculiarità della filosofia elvetica nel frattempo sono divenute topiche, tanto che Christoph Dejung non ha esitato a proporne un elenco in cinque punti: 1) non è accademica, 2) è politica e pratica, 3) vive di una fede implicita, 4) è concreta e realista e infine 5) è pedagogica . Un dato di fatto ineliminabile resta dunque la divisione linguistica e continuano a far parte della memoria identitaria le ferite lasciate dalle guerre di religione prima della creazione dello stato nazionale, alla fine della guerra dei Trentanni, nel 1648, per tacere, infine, delle ferite lasciate, nella Svizzera tedesca, dal Kulturkampf anticattolico della seconda metà dell’Ottocento. Il tutto ha avuto come conseguenza lo stabilirsi di un atteggiamento di grande tolleranza e neutralità nella vita pubblica e spesso anche in quella delle idee.
2008
9788861292703
Rousseau; Bonnet; Kant; Svizzera
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/323263
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