Rinunciando a riproporre o a riaprire un dibattito in merito ormai amplissimo, la nostra scelta si è orientata (relativamente al titolo) sul termine più datato ma, in qualche misura e nel senso che diremo, anche archetipico: “passione” dunque, termine figlio di quel pathos che già nella Grecia antica è oggetto di largo e articolato approccio, in sede letteraria come filosofica. Il legame del sostantivo pathos col verbo paschein, il “patire” o “soffrire”, che sigla l’intensità del suo darsi non meno che – spesso – l’inattrezzata inermità dell’essere umano alla sua forza, non esclude però due aspetti che a noi paiono sostanziali per il tipo di ricerca che, in questo numero 2 di «Thaumàzein», proviamo a proporre. Il pathos greco-antico mai è ridotto al versante solo cognitivo del suo manifestarsi al soggetto (so che sto desiderando, amando, odiando, invidiando, etc.), ma – ben diversamente da quanto sancito in valutazioni intellettualistiche tanto diffuse quanto superficiali – prevede un coinvolgimento della dimensione sia affettiva che cognitiva e, di conseguenza, esige una riflessione articolata sul tipo di esperienza globale che questo complicato intreccio fra conoscere e sentire volta a volta determina. Inoltre il pathos antico, pur legato, appunto, a paschein, rimanda non a una pura passività del soggetto che lo prova, ma, piuttosto, ad un co-stante interagire in chi sperimenta il pathos stesso con le condizioni di partenza in cui costui si venga a trovare.
Etica e passioni
Cusinato Guido
2014-01-01
Abstract
Rinunciando a riproporre o a riaprire un dibattito in merito ormai amplissimo, la nostra scelta si è orientata (relativamente al titolo) sul termine più datato ma, in qualche misura e nel senso che diremo, anche archetipico: “passione” dunque, termine figlio di quel pathos che già nella Grecia antica è oggetto di largo e articolato approccio, in sede letteraria come filosofica. Il legame del sostantivo pathos col verbo paschein, il “patire” o “soffrire”, che sigla l’intensità del suo darsi non meno che – spesso – l’inattrezzata inermità dell’essere umano alla sua forza, non esclude però due aspetti che a noi paiono sostanziali per il tipo di ricerca che, in questo numero 2 di «Thaumàzein», proviamo a proporre. Il pathos greco-antico mai è ridotto al versante solo cognitivo del suo manifestarsi al soggetto (so che sto desiderando, amando, odiando, invidiando, etc.), ma – ben diversamente da quanto sancito in valutazioni intellettualistiche tanto diffuse quanto superficiali – prevede un coinvolgimento della dimensione sia affettiva che cognitiva e, di conseguenza, esige una riflessione articolata sul tipo di esperienza globale che questo complicato intreccio fra conoscere e sentire volta a volta determina. Inoltre il pathos antico, pur legato, appunto, a paschein, rimanda non a una pura passività del soggetto che lo prova, ma, piuttosto, ad un co-stante interagire in chi sperimenta il pathos stesso con le condizioni di partenza in cui costui si venga a trovare.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.