L’actio rei uxoriae, ossia l’azione attraverso cui ottenere la restituzione della dote mediante una condanna pecuniaria, è stata oggetto di numerosi dibattiti da parte della dottrina, non solo in relazione alla struttura della formula, ma per la sua natura, nonché, ancora, per la sua inclusione tra i iudicia bonae fidei o tra le actiones in bonum et aequum conceptae. Scopo di questo contributo non è quello di rispondere a tali quesiti, bensì quello di evidenziare come la fides – intesa come principio non solo di correttezza, ma di reciproco affidamento tra le parti – abbia influenzato la costruzione da parte dei prudentes e dei pretori di questo strumento giudiziale. La comparazione diacronica con il regime arcaico in materia di restituzione della dote, operante sulla base di un criterio giuridico-religioso, permette di avanzare l’ipotesi che questa azione sia la diretta conseguenza della differente concezione del matrimonio a Roma. Una diversità, quest’ultima, che sarebbe giustificata tanto dalla maggiore diffusione – sicuramente dipendente dall’allargamento dei confini di Roma – dei matrimoni considerati come non legittimi dal ius civile, quanto dall’inevitabile aumento, a partire dalle XII Tavole, delle unioni matrimoniali a cui non accede – attraverso un apposito atto o negozio giuridico – la manus del marito (o del suo avente potestà) sulla futura moglie.
Il ruolo della ‘fides’ nei rapporti patrimoniali tra coniugi: il caso dell’‘actio rei uxoriae’
Davide Bresolin Zoppelli
2023-01-01
Abstract
L’actio rei uxoriae, ossia l’azione attraverso cui ottenere la restituzione della dote mediante una condanna pecuniaria, è stata oggetto di numerosi dibattiti da parte della dottrina, non solo in relazione alla struttura della formula, ma per la sua natura, nonché, ancora, per la sua inclusione tra i iudicia bonae fidei o tra le actiones in bonum et aequum conceptae. Scopo di questo contributo non è quello di rispondere a tali quesiti, bensì quello di evidenziare come la fides – intesa come principio non solo di correttezza, ma di reciproco affidamento tra le parti – abbia influenzato la costruzione da parte dei prudentes e dei pretori di questo strumento giudiziale. La comparazione diacronica con il regime arcaico in materia di restituzione della dote, operante sulla base di un criterio giuridico-religioso, permette di avanzare l’ipotesi che questa azione sia la diretta conseguenza della differente concezione del matrimonio a Roma. Una diversità, quest’ultima, che sarebbe giustificata tanto dalla maggiore diffusione – sicuramente dipendente dall’allargamento dei confini di Roma – dei matrimoni considerati come non legittimi dal ius civile, quanto dall’inevitabile aumento, a partire dalle XII Tavole, delle unioni matrimoniali a cui non accede – attraverso un apposito atto o negozio giuridico – la manus del marito (o del suo avente potestà) sulla futura moglie.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.