Thomasius' stances, in the form of academic dissertationes formally presented by his students and supervised by him, as was customary at the time, on the subject of witchcraft, during his years of teaching in Halle, are well known. These are the "Theses inaugurales de crimine magiae" (1701) and the "Disputatio iuris canonici de origine ac progressu processus inquisitorii contra sagas" (1712). These interventions stand alongside others, more or less contemporary, proposed by the jurist on the crime of heresy (1696 and 1697) and judicial torture (1705). The position advocated by Thomasius - through the words of his students - goes in the direction of considering the legal inconsistency of the crime of witchcraft, which is punctually fought on a philosophical, historical and legal level. The second dissertation then insists on the historiographic reconstruction of the appearance of crimen magiae and proposes an extensive diachronic review of the legal literature on the subject, as well as of the normative interventions of secular and canon law. In the first dissertation, Thomasius admits the existence of the devil, but denies the possibility of the 'pactum diaboli', which is the necessary premise for witchcraft acts prosecuted in court. Trials against witches cannot therefore be held, based on current law, because they are based on the accusation of a crime that cannot take place and therefore cannot be proven in court. The essential and innovative aspect concerns precisely not so much the lack of proof of the crime, but the material non-existence of the crime, which makes the accusation and subsequent inquisitio impossible. Thus, every judge must correctly decide not to initiate a trial for witchcraft and must abstain from any incrimination connected to the accusation for crimen magiae.

Sono note le prese di posizione di Thomasius, nella forma di dissertationes accademiche formalmente presentate da suoi studenti e da lui supervisionate, come in uso all’epoca, in tema di stregoneria, durante gli anni d’insegnamento a Halle. Si tratta delle "Theses inaugurales de crimine magiae" (1701) e della "Disputatio iuris canonici de origine ac progressu processus inquisitorii contra sagas" (1712). Tali interventi si collocano accanto ad altri, più o meno coevi, proposti dal giurista sul reato di eresia (1696 e 1697) e sulla tortura giudiziaria (1705). La posizione sostenuta da Thomasius – per bocca dei suoi allievi – va nel senso di ritenere l’inconsistenza giuridica del reato di stregoneria, combattuto puntualmente sul piano filosofico, storico e giuridico. Il secondo scritto insiste poi sulla ricostruzione in chiave storiografica della comparsa del crimen magiae e propone un’ampia rassegna diacronica della letteratura giuridica sul tema, così come degli interventi normativi, del diritto secolare e di quello canonico. Nella prima dissertazione Thomasius ammette l'esistenza del diavolo, ma nega la possibilità di realizzare il "pactum diaboli", che costituisce la premessa necessaria per gli atti di stregoneria perseguiti in giudizio. I processi contro le streghe non possono dunque essere celebrati, sulla base del diritto vigente, perché si basano sull'accusa di un crimine che non può compiersi e quindi non può essere provato in giudizio. L'aspetto essenziale e innovativo riguarda proprio non tanto la mancata prova del reato, ma la materiale inesistenza del reato, che rende impossibile l'accusa e la conseguente inquisitio, In tal modo ogni giudice deve decidere correttamente di non avviare il processo per stregoneria e deve astenersi da ogni incriminazione connessa all'accusa per crimen magiae.

Contro il 'crimen magiae': le dissertationes dottorali discusse all’Università di Halle sotto la guida di Christian Thomasius

Rossi, Giovanni
2022-01-01

Abstract

Thomasius' stances, in the form of academic dissertationes formally presented by his students and supervised by him, as was customary at the time, on the subject of witchcraft, during his years of teaching in Halle, are well known. These are the "Theses inaugurales de crimine magiae" (1701) and the "Disputatio iuris canonici de origine ac progressu processus inquisitorii contra sagas" (1712). These interventions stand alongside others, more or less contemporary, proposed by the jurist on the crime of heresy (1696 and 1697) and judicial torture (1705). The position advocated by Thomasius - through the words of his students - goes in the direction of considering the legal inconsistency of the crime of witchcraft, which is punctually fought on a philosophical, historical and legal level. The second dissertation then insists on the historiographic reconstruction of the appearance of crimen magiae and proposes an extensive diachronic review of the legal literature on the subject, as well as of the normative interventions of secular and canon law. In the first dissertation, Thomasius admits the existence of the devil, but denies the possibility of the 'pactum diaboli', which is the necessary premise for witchcraft acts prosecuted in court. Trials against witches cannot therefore be held, based on current law, because they are based on the accusation of a crime that cannot take place and therefore cannot be proven in court. The essential and innovative aspect concerns precisely not so much the lack of proof of the crime, but the material non-existence of the crime, which makes the accusation and subsequent inquisitio impossible. Thus, every judge must correctly decide not to initiate a trial for witchcraft and must abstain from any incrimination connected to the accusation for crimen magiae.
2022
978-88-15-38243-6
witchcraft crime, Thomasius, Halle University, history of modern criminal law
crimine di stregoneria, Thomasius, università di Halle, storia del diritto penale moderno
Sono note le prese di posizione di Thomasius, nella forma di dissertationes accademiche formalmente presentate da suoi studenti e da lui supervisionate, come in uso all’epoca, in tema di stregoneria, durante gli anni d’insegnamento a Halle. Si tratta delle "Theses inaugurales de crimine magiae" (1701) e della "Disputatio iuris canonici de origine ac progressu processus inquisitorii contra sagas" (1712). Tali interventi si collocano accanto ad altri, più o meno coevi, proposti dal giurista sul reato di eresia (1696 e 1697) e sulla tortura giudiziaria (1705). La posizione sostenuta da Thomasius – per bocca dei suoi allievi – va nel senso di ritenere l’inconsistenza giuridica del reato di stregoneria, combattuto puntualmente sul piano filosofico, storico e giuridico. Il secondo scritto insiste poi sulla ricostruzione in chiave storiografica della comparsa del crimen magiae e propone un’ampia rassegna diacronica della letteratura giuridica sul tema, così come degli interventi normativi, del diritto secolare e di quello canonico. Nella prima dissertazione Thomasius ammette l'esistenza del diavolo, ma nega la possibilità di realizzare il "pactum diaboli", che costituisce la premessa necessaria per gli atti di stregoneria perseguiti in giudizio. I processi contro le streghe non possono dunque essere celebrati, sulla base del diritto vigente, perché si basano sull'accusa di un crimine che non può compiersi e quindi non può essere provato in giudizio. L'aspetto essenziale e innovativo riguarda proprio non tanto la mancata prova del reato, ma la materiale inesistenza del reato, che rende impossibile l'accusa e la conseguente inquisitio, In tal modo ogni giudice deve decidere correttamente di non avviare il processo per stregoneria e deve astenersi da ogni incriminazione connessa all'accusa per crimen magiae.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/1079666
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