La domanda al centro di questo scritto è: esistono motivazioni che rendano possibile una comunità aperta, nel senso di non immunitaria? Certamente esistono motivazioni riconducibili al dover essere, a un’etica della responsabilità o a un’esortazione di natura morale. Qui mi chiedo se invece esistano motivazioni concrete, cioè materiali. Affronto questa questione partendo da un confronto con la proposta di Nancy per poi argomentare una tesi alternativa, basata sui concetti di “esemplarità” e di “beni indivisivi”. Nella prima parte dimostro che in Nancy l’estasi come esposizionamento (expeausition) è solo un’estasi fino ai confini del soggetto autoreferenziale, pertanto un’estasi a metà, e non rappresenta un reale superamento dell’individualismo soggettivo, quanto solo una sua nuova riformulazione; inoltre che in questo esposizionamento si prende in considerazione il superamento del soggetto in direzione della contaminazione indifferenziata della falda impersonale, non invece quella in direzione dell’incontro con la specifica singolarità dell’altro. Di fronte a queste aporie argomento che il problema della comunità aperta va ripensato andando oltre Nancy: non per ritornare a una concezione immunitaria e restaurativa di comunità, bensì ripartendo dal concetto di “sentire-con”. Nel far questo riprendo una delle tesi fondamentali dell’ontologia sociale enunciata nel Sympathiebuch (1913/1923) da Max Scheler: ogni sistema sociale è il risultato di una particolare pratica di sentire-con1. Ne consegue che ciò che ha in comune una comunità aperta non è un “essere-con” impersonale e amorfo, ma piuttosto un “sentire-con”, anzi una pratica di emotional sharing, di tipo solidaristico, grazie alla quale ogni membro della comunità attua, in un atto reciproco ed eseguito senza eccezioni, una messa fra parentesi del proprio egotismo timotico, o di quello che Platone considerava il peggiore di tutti i mali e l’origine di tutti gli errori: un “eccessivo e violento amore di sé stessi”2. Il problema è relativo allo statuto di una comunità non immunitaria che prende una sua forma singolare nel contaminarsi e aprirsi alle altre comunità; di una comunità che dà forma alla sua diversità nel trasgredire la propria chiusura autopoietica. La ricerca sui fondamenti della comunità aperta (e quindi dell’etica) richiede l’individuazione delle motivazioni che spingono a superare quelle che Hobbes nel De Cive (1642) chiamava “passione dell’utile” (passione acquisitiva) e “passione della gloria” (passione dell’Io)3. Spesso ci si limita a indicare motivazioni formali che, alla prova dei fatti, si riducono a qualcosa di molto simile a un’esortazione moralistica. Nella seconda parte di questo contributo, individuo invece le motivazioni materiali che promuovono il superamento delle passioni dell’utile e dell’Io. Dimostro che tali motivazioni materiali non sono ancora presenti nella lotta per il proprio riconoscimento sociale e neppure nell’empatia (intesa come capacità di rivivere il vissuto dell’altro senza ricondurlo a una proiezione del mio o al risultato di un ragionamento per analogia), bensì sorgono solo nelle pratiche di condivisione solidaristica di un tipo particolare di beni: i “beni indivisivi”, beni cioè il cui consumo non segue una logica “divisiva”, nel senso di oppositiva, ma solidaristica. Tali beni si diffondono grazie alla forza di un’esemplarità di tipo maieutico. Applico infine tale tesi ai concetti di comunità e di singolarità: la comunità e la singolarità prendono forma e assumono una propria inconfondibile fisionomia – trascendendo il proprio paradigma immunitario e la propria chiusura autopoietica – nella misura in cui, grazie alla forza dell’esemplarità altrui, condividono beni indivisivi attraverso pratiche solidaristiche di emotional sharing.

Beni indivisivi. Le aporie della comunità estatica di Nancy e la forza dell’esemplarità

guido cusinato
2021-01-01

Abstract

La domanda al centro di questo scritto è: esistono motivazioni che rendano possibile una comunità aperta, nel senso di non immunitaria? Certamente esistono motivazioni riconducibili al dover essere, a un’etica della responsabilità o a un’esortazione di natura morale. Qui mi chiedo se invece esistano motivazioni concrete, cioè materiali. Affronto questa questione partendo da un confronto con la proposta di Nancy per poi argomentare una tesi alternativa, basata sui concetti di “esemplarità” e di “beni indivisivi”. Nella prima parte dimostro che in Nancy l’estasi come esposizionamento (expeausition) è solo un’estasi fino ai confini del soggetto autoreferenziale, pertanto un’estasi a metà, e non rappresenta un reale superamento dell’individualismo soggettivo, quanto solo una sua nuova riformulazione; inoltre che in questo esposizionamento si prende in considerazione il superamento del soggetto in direzione della contaminazione indifferenziata della falda impersonale, non invece quella in direzione dell’incontro con la specifica singolarità dell’altro. Di fronte a queste aporie argomento che il problema della comunità aperta va ripensato andando oltre Nancy: non per ritornare a una concezione immunitaria e restaurativa di comunità, bensì ripartendo dal concetto di “sentire-con”. Nel far questo riprendo una delle tesi fondamentali dell’ontologia sociale enunciata nel Sympathiebuch (1913/1923) da Max Scheler: ogni sistema sociale è il risultato di una particolare pratica di sentire-con1. Ne consegue che ciò che ha in comune una comunità aperta non è un “essere-con” impersonale e amorfo, ma piuttosto un “sentire-con”, anzi una pratica di emotional sharing, di tipo solidaristico, grazie alla quale ogni membro della comunità attua, in un atto reciproco ed eseguito senza eccezioni, una messa fra parentesi del proprio egotismo timotico, o di quello che Platone considerava il peggiore di tutti i mali e l’origine di tutti gli errori: un “eccessivo e violento amore di sé stessi”2. Il problema è relativo allo statuto di una comunità non immunitaria che prende una sua forma singolare nel contaminarsi e aprirsi alle altre comunità; di una comunità che dà forma alla sua diversità nel trasgredire la propria chiusura autopoietica. La ricerca sui fondamenti della comunità aperta (e quindi dell’etica) richiede l’individuazione delle motivazioni che spingono a superare quelle che Hobbes nel De Cive (1642) chiamava “passione dell’utile” (passione acquisitiva) e “passione della gloria” (passione dell’Io)3. Spesso ci si limita a indicare motivazioni formali che, alla prova dei fatti, si riducono a qualcosa di molto simile a un’esortazione moralistica. Nella seconda parte di questo contributo, individuo invece le motivazioni materiali che promuovono il superamento delle passioni dell’utile e dell’Io. Dimostro che tali motivazioni materiali non sono ancora presenti nella lotta per il proprio riconoscimento sociale e neppure nell’empatia (intesa come capacità di rivivere il vissuto dell’altro senza ricondurlo a una proiezione del mio o al risultato di un ragionamento per analogia), bensì sorgono solo nelle pratiche di condivisione solidaristica di un tipo particolare di beni: i “beni indivisivi”, beni cioè il cui consumo non segue una logica “divisiva”, nel senso di oppositiva, ma solidaristica. Tali beni si diffondono grazie alla forza di un’esemplarità di tipo maieutico. Applico infine tale tesi ai concetti di comunità e di singolarità: la comunità e la singolarità prendono forma e assumono una propria inconfondibile fisionomia – trascendendo il proprio paradigma immunitario e la propria chiusura autopoietica – nella misura in cui, grazie alla forza dell’esemplarità altrui, condividono beni indivisivi attraverso pratiche solidaristiche di emotional sharing.
2021
978-8857573953
esemplarity, Nancy, empathy, comunity,
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/1027900
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