I ventiquattro congressi mondiali di filosofia che si sono succeduti dal 1900 a oggi hanno in comune di esser stati eventi culturali di primordine. Al 1° (Parigi 1900) Bertrand Russell conosceva Giuseppe Peano che gli consigliava di leggere Gottlob Frege, al 3° (Bologna 1906) Federigo Enriques presentava al mondo il positivismo prima del neopositivismo, il 4° (Heidelberg 1911) affrontava il problema del valore, con Benedetto Croce valido aiuto di Wilhelm Windelband, e il 9° (Parigi 1937) fu il celebre Congrès Descartes, che tanto segnò la storia filosofica del ventesimo secolo. Due altri congressi in Italia: il 5° (Napoli 1924) e il 12° (Venezia 1958), organizzati rispettivamente da Giovanni Gentile e Carlo Giacon. Tra i più recenti, il 19° (Mosca 1993), organizzato da Evandro Agazzi in una città nella quale giravano i carri armati durante la presa di potere di Boris Eltsin; il 20° (Boston 1998), il primo a superare la soglia di tremila partecipanti; il 21° (Istanbul 2003), il primo in Asia; il 22° (Seoul 2008), il primo in Estremo Oriente; mentre il 23° (Atene 2013), anch’esso con più di tremila partecipanti, portava i filosofi di tutto il mondo a calpestare, letteralmente, i siti dell’Accademia, del Liceo e del Giardino. Il 24° (Pechino 2018), tenutosi dal 13 al 20 agosto nella splendida cornice del parco delle Olimpiadi del 2008, si distingue per almeno tre motivi. Il primo, sono gli ottomila iscritti, che lo qualificano, appunto, come la più partecipata riunione di filosofi della storia. Il secondo, l’essersi svolto per la prima volta nella Cina della ricerca e dell’innovazione. Il terzo, infine, l’aver avviato il cambio di paradigma dal dialogo tra culture alla cultura nata dialogica. «Oggi abbiamo una civiltà dialogica», ha solennemente dichiarato Tu Weiming nella magnifica Wang Yangming Lecture che diede il 18 agosto. Learning to be human: questo il tema del congresso. L’essere umano non è statico, è un divenire di processi creativi. Lo sguardo dell’altro ha precedenza sullo sguardo di sé, perché se non riconosciamo la presenza dell’altro non riconosciamo nemmeno la nostra, ha spiegato Tu Weiming. Per le conferenze plenarie, il 24° congresso ha compiuto il passo irreversibile di sostituire le definizioni disciplinari aristotelico-scolastiche con nuove forme più inclusive radicate nelle tradizioni dell’umanesimo. Al posto della plenaria di logica e metafisica, il congresso cominciò con una plenaria sul self (jĭ), al posto della seconda plenaria di etica e politica, si ebbe una plenaria su community (jún), la terza plenaria sulla scienza fu sostituita da una plenaria su nature (dì); infine, la quarta plenaria sulla religione divenne una plenaria su spirit (tiān). Lo schema si chiudeva con una quinta plenaria storico-filosofica sulle traditions (chuántŏng), e ritornava nei titoli dei dieci simposi: Self: (1) Ren, Ubuntu, Love, and the Heart; (2) Mind, Brain, Body, Consciousness, Emotions; Community: (3) Philosophy at the Margins: Domination, Freedom, and Solidarity; (4) Rights, Responsibility, and Justice; Nature: (5) Human, Non-Human, Post-Human; (6) Science, Technology, and the Environment; Spirit: (7) Creativity, Symbol, and Aesthetic Sense; (8) Reason, Wisdom, and the Good Life; Traditions: (9) Expressibility, Dialogue, Translatability; (10) Differences, Diversity, Commonality. Il congresso mondiale è soprattutto un esercizio di apertura alla complessità filosofica, religiosa, culturale del mondo contemporaneo. Ci si sorprende allora a costatare come i filosofi cinesi, pur presenti in massa, siano stati tuttavia minoranza di fronte alle migliaia e centinaia di studiosi europei, nordamericani e sudamericani, russi e indiani, alle decine di filippini, sudafricani, coreani, thailandesi, giapponesi, nigeriani, kazaki, e soprattutto a esponenti di comunità filosofiche cui non siamo ancora abituati a pensare come protagonisti del campus globale in cui avviene l’elaborazione del pensiero contemporaneo. Tra i più apprezzati interventi vanno segnalati quelli delle americane Judith Butler e Sally Haslanger, dell’australiano Peter Singer, della francese Anne Cheng, della thailandese Supakwadee Amatayakul, del sudafricano Mogobe Ramose, del russo Andrey Smirnov, del tedesco Julian Nida-Rümelin e del nostro Maurizio Ferraris. In una miriade di simposi, tavole rotonde, sessioni di ogni genere, le innovazioni legate all’intelligenza artificiale, la frammentazione del sapere e l’accesso ai dati, per fare solo degli esempi, hanno portato a serie riflessioni su temi quali coscienza, marginalità, solidarietà, responsabilità, creatività, benessere, espressività nel confronto tra tradizioni filosofiche e culturali diverse. Così abbiamo visto i primi passi di quella cultura dialogica destinata a nutrire spiritualmente il ventunesimo secolo e che Platone nel Timeo (23c) aveva già immaginato come circolarità di traslazioni e traduzioni di scritture e testi. Il 25° congresso mondiale di filosofia si svolgerà a Melbourne nell’estate del 2023. È questa la decisione della Fédération Internationale des Sociétés de Philosophie, alla quale fa capo l’organizzazione dei congressi mondiali, presieduta durante il congresso da Dermot Moran. A Pechino è stato rinnovato il direttivo della Federazione, ora presieduta da Luca Maria Scarantino, mentre Suwanna Satha-Anand è stata nominata segretario generale. Per il programma del congresso di Pechino vedi http://wcp2018.pku.edu.cn. Per gli atti dei congressi mondiali vedi https://www.pdcnet.org/wcp.

Il 24° Congresso Mondiale: Ottomila filosofi a Pechino nel segno del dialogo

Pozzo, Riccardo
2018-01-01

Abstract

I ventiquattro congressi mondiali di filosofia che si sono succeduti dal 1900 a oggi hanno in comune di esser stati eventi culturali di primordine. Al 1° (Parigi 1900) Bertrand Russell conosceva Giuseppe Peano che gli consigliava di leggere Gottlob Frege, al 3° (Bologna 1906) Federigo Enriques presentava al mondo il positivismo prima del neopositivismo, il 4° (Heidelberg 1911) affrontava il problema del valore, con Benedetto Croce valido aiuto di Wilhelm Windelband, e il 9° (Parigi 1937) fu il celebre Congrès Descartes, che tanto segnò la storia filosofica del ventesimo secolo. Due altri congressi in Italia: il 5° (Napoli 1924) e il 12° (Venezia 1958), organizzati rispettivamente da Giovanni Gentile e Carlo Giacon. Tra i più recenti, il 19° (Mosca 1993), organizzato da Evandro Agazzi in una città nella quale giravano i carri armati durante la presa di potere di Boris Eltsin; il 20° (Boston 1998), il primo a superare la soglia di tremila partecipanti; il 21° (Istanbul 2003), il primo in Asia; il 22° (Seoul 2008), il primo in Estremo Oriente; mentre il 23° (Atene 2013), anch’esso con più di tremila partecipanti, portava i filosofi di tutto il mondo a calpestare, letteralmente, i siti dell’Accademia, del Liceo e del Giardino. Il 24° (Pechino 2018), tenutosi dal 13 al 20 agosto nella splendida cornice del parco delle Olimpiadi del 2008, si distingue per almeno tre motivi. Il primo, sono gli ottomila iscritti, che lo qualificano, appunto, come la più partecipata riunione di filosofi della storia. Il secondo, l’essersi svolto per la prima volta nella Cina della ricerca e dell’innovazione. Il terzo, infine, l’aver avviato il cambio di paradigma dal dialogo tra culture alla cultura nata dialogica. «Oggi abbiamo una civiltà dialogica», ha solennemente dichiarato Tu Weiming nella magnifica Wang Yangming Lecture che diede il 18 agosto. Learning to be human: questo il tema del congresso. L’essere umano non è statico, è un divenire di processi creativi. Lo sguardo dell’altro ha precedenza sullo sguardo di sé, perché se non riconosciamo la presenza dell’altro non riconosciamo nemmeno la nostra, ha spiegato Tu Weiming. Per le conferenze plenarie, il 24° congresso ha compiuto il passo irreversibile di sostituire le definizioni disciplinari aristotelico-scolastiche con nuove forme più inclusive radicate nelle tradizioni dell’umanesimo. Al posto della plenaria di logica e metafisica, il congresso cominciò con una plenaria sul self (jĭ), al posto della seconda plenaria di etica e politica, si ebbe una plenaria su community (jún), la terza plenaria sulla scienza fu sostituita da una plenaria su nature (dì); infine, la quarta plenaria sulla religione divenne una plenaria su spirit (tiān). Lo schema si chiudeva con una quinta plenaria storico-filosofica sulle traditions (chuántŏng), e ritornava nei titoli dei dieci simposi: Self: (1) Ren, Ubuntu, Love, and the Heart; (2) Mind, Brain, Body, Consciousness, Emotions; Community: (3) Philosophy at the Margins: Domination, Freedom, and Solidarity; (4) Rights, Responsibility, and Justice; Nature: (5) Human, Non-Human, Post-Human; (6) Science, Technology, and the Environment; Spirit: (7) Creativity, Symbol, and Aesthetic Sense; (8) Reason, Wisdom, and the Good Life; Traditions: (9) Expressibility, Dialogue, Translatability; (10) Differences, Diversity, Commonality. Il congresso mondiale è soprattutto un esercizio di apertura alla complessità filosofica, religiosa, culturale del mondo contemporaneo. Ci si sorprende allora a costatare come i filosofi cinesi, pur presenti in massa, siano stati tuttavia minoranza di fronte alle migliaia e centinaia di studiosi europei, nordamericani e sudamericani, russi e indiani, alle decine di filippini, sudafricani, coreani, thailandesi, giapponesi, nigeriani, kazaki, e soprattutto a esponenti di comunità filosofiche cui non siamo ancora abituati a pensare come protagonisti del campus globale in cui avviene l’elaborazione del pensiero contemporaneo. Tra i più apprezzati interventi vanno segnalati quelli delle americane Judith Butler e Sally Haslanger, dell’australiano Peter Singer, della francese Anne Cheng, della thailandese Supakwadee Amatayakul, del sudafricano Mogobe Ramose, del russo Andrey Smirnov, del tedesco Julian Nida-Rümelin e del nostro Maurizio Ferraris. In una miriade di simposi, tavole rotonde, sessioni di ogni genere, le innovazioni legate all’intelligenza artificiale, la frammentazione del sapere e l’accesso ai dati, per fare solo degli esempi, hanno portato a serie riflessioni su temi quali coscienza, marginalità, solidarietà, responsabilità, creatività, benessere, espressività nel confronto tra tradizioni filosofiche e culturali diverse. Così abbiamo visto i primi passi di quella cultura dialogica destinata a nutrire spiritualmente il ventunesimo secolo e che Platone nel Timeo (23c) aveva già immaginato come circolarità di traslazioni e traduzioni di scritture e testi. Il 25° congresso mondiale di filosofia si svolgerà a Melbourne nell’estate del 2023. È questa la decisione della Fédération Internationale des Sociétés de Philosophie, alla quale fa capo l’organizzazione dei congressi mondiali, presieduta durante il congresso da Dermot Moran. A Pechino è stato rinnovato il direttivo della Federazione, ora presieduta da Luca Maria Scarantino, mentre Suwanna Satha-Anand è stata nominata segretario generale. Per il programma del congresso di Pechino vedi http://wcp2018.pku.edu.cn. Per gli atti dei congressi mondiali vedi https://www.pdcnet.org/wcp.
2018
Congresso Mondiale di Filosofia
Civiltà dialogica
Tu Weiming
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/985582
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