La memoria è un mezzo attraverso cui l’individuo può definire la propria identità, può riscoprirsi o reinventarsi. La perdita della memoria ci spersonalizza, ci rende estranei a noi stessi (es. morbo di Alzheimer). Questa consapevolezza è però frutto di un lungo percorso diacronico: storicamente e letterariamente, questa facoltà determinante per l’essere umano è stata interpretata in modi differenti. Nell’ambito della detective story ottocentesca la mente viene considerata come una soffitta vuota, in cui lo stolto immagazzina senza criterio oggetti inutili, ma l’uomo accorto seleziona e conserva solo ciò che serve realmente e può essere recuperato all’occorrenza. Nel primo ‘900 l’attenzione si focalizza invece sulla memoria involontaria: in “Cinematografo cerebrale” (1907) di Edmondo De Amicis un uomo si confronta con la capacità del proprio pensiero di vagare liberamente tra i ricordi e si spaventa per quello che ne emerge. Solo pochi anni dopo, tuttavia, La coscienza di Zeno (1923) ci mette di fronte alle potenzialità della libera associazione di idee come strumento per un’indagine diversa, per una detection dell’anima che risale attraverso i percorsi inconsci della memoria. E infine la contemporaneità, in cui di fronte ad un accumulo bulimico di informazioni la memoria esplode e si disgrega, lasciando l’uomo in balia dell’esistenza senza più punti di riferimento, come mostrano in modo paradigmatico due romanzi molto diversi, eppure al contempo profondamente affini: Morire dentro (1972) di Robert Silverberg e Gli artisti della memoria (2005) di Jeffrey Moore.

Leggere la mente, perdere la memoria

Pernigo, Carolina
2014-01-01

Abstract

La memoria è un mezzo attraverso cui l’individuo può definire la propria identità, può riscoprirsi o reinventarsi. La perdita della memoria ci spersonalizza, ci rende estranei a noi stessi (es. morbo di Alzheimer). Questa consapevolezza è però frutto di un lungo percorso diacronico: storicamente e letterariamente, questa facoltà determinante per l’essere umano è stata interpretata in modi differenti. Nell’ambito della detective story ottocentesca la mente viene considerata come una soffitta vuota, in cui lo stolto immagazzina senza criterio oggetti inutili, ma l’uomo accorto seleziona e conserva solo ciò che serve realmente e può essere recuperato all’occorrenza. Nel primo ‘900 l’attenzione si focalizza invece sulla memoria involontaria: in “Cinematografo cerebrale” (1907) di Edmondo De Amicis un uomo si confronta con la capacità del proprio pensiero di vagare liberamente tra i ricordi e si spaventa per quello che ne emerge. Solo pochi anni dopo, tuttavia, La coscienza di Zeno (1923) ci mette di fronte alle potenzialità della libera associazione di idee come strumento per un’indagine diversa, per una detection dell’anima che risale attraverso i percorsi inconsci della memoria. E infine la contemporaneità, in cui di fronte ad un accumulo bulimico di informazioni la memoria esplode e si disgrega, lasciando l’uomo in balia dell’esistenza senza più punti di riferimento, come mostrano in modo paradigmatico due romanzi molto diversi, eppure al contempo profondamente affini: Morire dentro (1972) di Robert Silverberg e Gli artisti della memoria (2005) di Jeffrey Moore.
2014
9788864642536
Memoria; alzheimer; Jeffrey Moore; Robert Silverberg; psicanalisi
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/702761
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