Dei tre saggi espressamente dedicati da Kant al tema delle razze umane, il più interessante dal punto di vista speculativo è l’ultimo, uscito nel 1788, lo stesso anno della Kritik der praktischen Philosophie e due anni prima della Kritik der Urteilskraft. Si tratta della risposta polemica ad un intervento del naturalista Georg Adam Forster contro la dottrina kantiana delle razze , una risposta che Kant inserisce nel contesto di un problema teorico centrale per lo sviluppo del suo sistema, vale a dire la definizione dei limiti entro i quali è possibile e legittimo usare il principio della finalità naturale. Gli appare, infatti, sempre più chiara negli anni l’insufficienza dell’approccio teoretico-scientifico alla realtà dell’essere vivente, e dell’uomo in particolare, e la necessità di ricorrere a principi di spiegazione di ordine diverso, come quelli di finalità e di sviluppo. Ne deriva una serie di conseguenze molto importanti sul piano della dottrina antropologica, anche se per alcuni aspetti problematiche come quelle che si riferiscono alla definizione e alla distinzione delle razze umane. Emergono in questo contesto valutazioni e giudizi talvolta discutibili, che hanno sollevato non poche critiche ed esplicite accuse di razzismo, ancor oggi non ancora del tutto sopite. La dottrina kantiana della razza può essere difesa da queste accuse soltanto se viene compresa non all’interno della scienza quantitativo-meccanica bensì, come espressamente richiede il filosofo, nell’ambito della storia della natura, il cui valore è pur sempre soggettivo e in larga misura ipotetico, ma fornisce proprio mediante l’uso del principio teleologico l’unica prospettiva possibile per comprendere l’uomo nell’unità organica delle sue forze. Su queste basi la dottrina kantiana delle razze appare non incompatibile o per lo meno non in antitesi con l’ideale cosmopolitico, che Kant condivide con la maggior parte dei filosofi dell’illuminismo.

La varietà delle razze umane e la finalità della natura in Kant

LONGO, Mario
2010-01-01

Abstract

Dei tre saggi espressamente dedicati da Kant al tema delle razze umane, il più interessante dal punto di vista speculativo è l’ultimo, uscito nel 1788, lo stesso anno della Kritik der praktischen Philosophie e due anni prima della Kritik der Urteilskraft. Si tratta della risposta polemica ad un intervento del naturalista Georg Adam Forster contro la dottrina kantiana delle razze , una risposta che Kant inserisce nel contesto di un problema teorico centrale per lo sviluppo del suo sistema, vale a dire la definizione dei limiti entro i quali è possibile e legittimo usare il principio della finalità naturale. Gli appare, infatti, sempre più chiara negli anni l’insufficienza dell’approccio teoretico-scientifico alla realtà dell’essere vivente, e dell’uomo in particolare, e la necessità di ricorrere a principi di spiegazione di ordine diverso, come quelli di finalità e di sviluppo. Ne deriva una serie di conseguenze molto importanti sul piano della dottrina antropologica, anche se per alcuni aspetti problematiche come quelle che si riferiscono alla definizione e alla distinzione delle razze umane. Emergono in questo contesto valutazioni e giudizi talvolta discutibili, che hanno sollevato non poche critiche ed esplicite accuse di razzismo, ancor oggi non ancora del tutto sopite. La dottrina kantiana della razza può essere difesa da queste accuse soltanto se viene compresa non all’interno della scienza quantitativo-meccanica bensì, come espressamente richiede il filosofo, nell’ambito della storia della natura, il cui valore è pur sempre soggettivo e in larga misura ipotetico, ma fornisce proprio mediante l’uso del principio teleologico l’unica prospettiva possibile per comprendere l’uomo nell’unità organica delle sue forze. Su queste basi la dottrina kantiana delle razze appare non incompatibile o per lo meno non in antitesi con l’ideale cosmopolitico, che Kant condivide con la maggior parte dei filosofi dell’illuminismo.
2010
9789728531898
Antropologia; Razza; Kant
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