Dal 1866 in poi anche Verona si sarebbe andata lentamente rivestendo di segni con i quali esternare la propria adesione alla causa risorgimentale e la riconoscente ammirazione per chi si era distinto nella lotta politica e militare a favore dell’unità nazionale. Gli strumenti di cui ci si serve per celebrare la religione della nuova patria sono la toponomastica, le lapidi e i monumenti, con la proluvie di discorsi che fanno da contorno a ogni inaugurazione. Tale culto risorgimentale è però un fatto elitario, essendo necessariamente appannaggio degli amministratori locali, fedeli interpreti degli umori e delle direttive del governo di Roma, almeno fino a quando non conquisteranno il municipio di Verona i socialisti. Tra costoro e i liberali che li hanno preceduti nella guida della città c’è continuità politica solo sul versante dell’anticlericalismo. Sul tema risorgimentale, i socialisti si distinguono per l’atteggiamento dissacratorio e blasfemo che mantengono nei confronti di valori e simboli come la patria, il tricolore, l’esercito nazionale, interrompendo, perciò, oppure ostacolando lo sviluppo di un culto per le glorie patrie, che riprenderà solo con l’avvento del fascismo. L’avversione socialista per il mito risorgimentale raggiungerà un suo culmine alla vigilia del primo conflitto mondiale, come ci conferma un articolo di De Amicis ospitato su «Verona del Popolo». Dopo il 1866, di fronte al proliferare in Verona di una simbologia risorgimentale sempre più articolata, ci si chiede quanto vi sia di imposto dall’alto, di autoritario, di artefatto, e quanto invece di partecipato, di corale, di popolare. Quei monumenti di cui la città si va arricchendo sono solo un gesto di riconoscenza per gli artefici del risorgimento o sono suscettibili di altre letture? Prima tra queste, quella di una loro valenza didattica, intendendo i promotori rendere partecipi tutti i veronesi, ma in particolare le nuove generazioni, del mito risorgimentale in costruzione. L’impegno a onorare i protagonisti dell’epopea risorgimentale potrebbe essere letto, però, anche come una dichiarazione di attaccamento allo stato nazionale, obbligata da parte di una città facilmente sospettabile di sentimenti filoaustriaci, non fosse altro perché era stata il cuore del sistema militare asburgico. Proprio contro le mura di Verona si erano infranti tutti i sogni di conquista militare dei piemontesi. Mai Verona aveva capitolato. Era sempre rimasta saldamente in mano agli Austriaci e la loro partenza nel 1866 avveniva nonostante la schiacciante vittoria asburgica di Custoza. Facile sospettare che l’inviolabilità della città di Verona fosse da attribuire anche al comportamento dei suoi abitanti. All’interno delle mura abitavano cittadini che subivano la dominazione austriaca o che fremevano costretti a soffocare la passione patriottica? Nel corso delle lotte risorgimentali abbiamo testimonianza di momenti in cui la città di Verona è scesa in piazza a urlare la propria adesione al sogno italiano, in particolare nel 1848 e nel 1866. Dopo il ’66 si registra il progressivo approfondirsi della delusione postrisorgimentale, della quale si fanno interpreti alcuni sacerdoti illuminati, che avevano vissuto con intensità la passione indipendentista e unitaria. Ora essi subiscono da un lato l’irremovibile determinazione della Santa Sede sulla questione romana, dall’altro l’incattivirsi della politica anticlericale del governo centrale e delle amministrazioni locali. Tra le fila del clero, c’è chi si limita a esprimere la propria delusione postrisorgimentale, e chi invece, travolto dall’apparente inconciliabilità tra nazione e religione, abbandona lo stato sacerdotale divenendo persecutore della chiesa. Anche Verona ha i suoi preti spretati, che come sempre, sono gli avversari più accaniti della chiesa. Ma Verona conta pure numerosi nostalgici del buon tempo antico, del governo austriaco, il cui anticlericalismo non aveva certo assunto le forme odiose adottate dagli anticlericali al potere a Roma e a Verona. Un rimpianto, alimentato dall’odio che la dinastia sabauda mette in campo contro la chiesa cattolica. Figura di punta del clero veronese, che dopo gli entusiasmi del 1848, conosce una veloce involuzione giungendo all’apostasia della fede, è Gaetano Trezza. Che il clero nel 1848 fosse in prima fila nella spinta risorgimentale è cosa acclamata, ma volutamente ignorata o minimizzata da chi ha interesse invece a demonizzare la chiesa cattolica, contrapponendole le forze anticlericali come le sole artefici dell’unificazione nazionale. L’adesione alla causa nazionale da parte del clero continuerà anche dopo il ’48, nonostante l’inasprirsi della lotta anticattolica da parte del potere politico e di attivissime associazioni anticlericali, scatenate nel rendere in molti casi impossibile ogni pubblica manifestazione di fede. Gli ultimi preti martiri non sono quelli portati sugli spalti di Belfiore dall’Austria. Anche l’Italia perseguiterà il clero cattolico, il quale essendo però composto di italiani non può non continuare ad amare la patria. Il dramma ottocentesco del clero cattolico italiano, innamorato della patria nazionale e perseguitato dallo stato italiano oltre che da cospicue frange di fanatici anticlericali, è bene messo in evidenza da Silvio Pozzani, parlando di mons. Luigi Gaiter. Nel presente contributo si vogliono mettere in luce in particolare due aspetti: l’entusiasmo risorgimentale veronese e la delusione postrisorgimentale, di cui furono interpreti figure di spicco del clero scaligero. La persecuzione cui la chiesa è esposta non affievolisce però l’adesione del clero alla causa nazionale, almeno nelle figure più impegnate. All’intiepidirsi della passione patriottica da parte del clero e quindi di riflesso di una parte della popolazione, fa da contraltare il crescente impegno delle autorità civili per alimentare la fiamma della religione della patria con cerimonie laiche ai piedi di monumenti ed epigrafi di cui la città si va costellando, e che sono il contributo veronese alla creazione del mito nazionale del Risorgimento, a consolidare il quale lavorano incessantemente le forze liberali e massoniche. Svariate le fonti utilizzate per il presente lavoro. Si è inteso però privilegiare alcuni personaggi di punta del clero veronese, che grazie al loro impegno come scrittori di storia locale e autobiografica, ci hanno lasciato pagine insostituibili sia degli eventi vissuti dalla città di Verona sia della parabola personale dagli entusiasmi del 1848 al doloroso risveglio sulla vera natura del governo dell’Italia unita. La crescente ostilità governativa nei confronti del clero e della chiesa non ha però loro impedito di offrire un decisivo contributo alla costruzione dell’identità nazionale in terra scaligera, impegnati in prima fila a dedicare all’epopea risorgimentale monumenti cartacei, essendo quelli marmorei appannaggio delle pubbliche autorità, che essi hanno comunque onorato con il loro comportamento e illustrato nelle loro opere. Tra loro spiccano le figure di don Leopoldo Stegagnini, don Antonio Pighi, don Pietro Zenari, don Gregorio Segala.

Il culto per la patria, una religione condivisa

VECCHIATO, Francesco
2008-01-01

Abstract

Dal 1866 in poi anche Verona si sarebbe andata lentamente rivestendo di segni con i quali esternare la propria adesione alla causa risorgimentale e la riconoscente ammirazione per chi si era distinto nella lotta politica e militare a favore dell’unità nazionale. Gli strumenti di cui ci si serve per celebrare la religione della nuova patria sono la toponomastica, le lapidi e i monumenti, con la proluvie di discorsi che fanno da contorno a ogni inaugurazione. Tale culto risorgimentale è però un fatto elitario, essendo necessariamente appannaggio degli amministratori locali, fedeli interpreti degli umori e delle direttive del governo di Roma, almeno fino a quando non conquisteranno il municipio di Verona i socialisti. Tra costoro e i liberali che li hanno preceduti nella guida della città c’è continuità politica solo sul versante dell’anticlericalismo. Sul tema risorgimentale, i socialisti si distinguono per l’atteggiamento dissacratorio e blasfemo che mantengono nei confronti di valori e simboli come la patria, il tricolore, l’esercito nazionale, interrompendo, perciò, oppure ostacolando lo sviluppo di un culto per le glorie patrie, che riprenderà solo con l’avvento del fascismo. L’avversione socialista per il mito risorgimentale raggiungerà un suo culmine alla vigilia del primo conflitto mondiale, come ci conferma un articolo di De Amicis ospitato su «Verona del Popolo». Dopo il 1866, di fronte al proliferare in Verona di una simbologia risorgimentale sempre più articolata, ci si chiede quanto vi sia di imposto dall’alto, di autoritario, di artefatto, e quanto invece di partecipato, di corale, di popolare. Quei monumenti di cui la città si va arricchendo sono solo un gesto di riconoscenza per gli artefici del risorgimento o sono suscettibili di altre letture? Prima tra queste, quella di una loro valenza didattica, intendendo i promotori rendere partecipi tutti i veronesi, ma in particolare le nuove generazioni, del mito risorgimentale in costruzione. L’impegno a onorare i protagonisti dell’epopea risorgimentale potrebbe essere letto, però, anche come una dichiarazione di attaccamento allo stato nazionale, obbligata da parte di una città facilmente sospettabile di sentimenti filoaustriaci, non fosse altro perché era stata il cuore del sistema militare asburgico. Proprio contro le mura di Verona si erano infranti tutti i sogni di conquista militare dei piemontesi. Mai Verona aveva capitolato. Era sempre rimasta saldamente in mano agli Austriaci e la loro partenza nel 1866 avveniva nonostante la schiacciante vittoria asburgica di Custoza. Facile sospettare che l’inviolabilità della città di Verona fosse da attribuire anche al comportamento dei suoi abitanti. All’interno delle mura abitavano cittadini che subivano la dominazione austriaca o che fremevano costretti a soffocare la passione patriottica? Nel corso delle lotte risorgimentali abbiamo testimonianza di momenti in cui la città di Verona è scesa in piazza a urlare la propria adesione al sogno italiano, in particolare nel 1848 e nel 1866. Dopo il ’66 si registra il progressivo approfondirsi della delusione postrisorgimentale, della quale si fanno interpreti alcuni sacerdoti illuminati, che avevano vissuto con intensità la passione indipendentista e unitaria. Ora essi subiscono da un lato l’irremovibile determinazione della Santa Sede sulla questione romana, dall’altro l’incattivirsi della politica anticlericale del governo centrale e delle amministrazioni locali. Tra le fila del clero, c’è chi si limita a esprimere la propria delusione postrisorgimentale, e chi invece, travolto dall’apparente inconciliabilità tra nazione e religione, abbandona lo stato sacerdotale divenendo persecutore della chiesa. Anche Verona ha i suoi preti spretati, che come sempre, sono gli avversari più accaniti della chiesa. Ma Verona conta pure numerosi nostalgici del buon tempo antico, del governo austriaco, il cui anticlericalismo non aveva certo assunto le forme odiose adottate dagli anticlericali al potere a Roma e a Verona. Un rimpianto, alimentato dall’odio che la dinastia sabauda mette in campo contro la chiesa cattolica. Figura di punta del clero veronese, che dopo gli entusiasmi del 1848, conosce una veloce involuzione giungendo all’apostasia della fede, è Gaetano Trezza. Che il clero nel 1848 fosse in prima fila nella spinta risorgimentale è cosa acclamata, ma volutamente ignorata o minimizzata da chi ha interesse invece a demonizzare la chiesa cattolica, contrapponendole le forze anticlericali come le sole artefici dell’unificazione nazionale. L’adesione alla causa nazionale da parte del clero continuerà anche dopo il ’48, nonostante l’inasprirsi della lotta anticattolica da parte del potere politico e di attivissime associazioni anticlericali, scatenate nel rendere in molti casi impossibile ogni pubblica manifestazione di fede. Gli ultimi preti martiri non sono quelli portati sugli spalti di Belfiore dall’Austria. Anche l’Italia perseguiterà il clero cattolico, il quale essendo però composto di italiani non può non continuare ad amare la patria. Il dramma ottocentesco del clero cattolico italiano, innamorato della patria nazionale e perseguitato dallo stato italiano oltre che da cospicue frange di fanatici anticlericali, è bene messo in evidenza da Silvio Pozzani, parlando di mons. Luigi Gaiter. Nel presente contributo si vogliono mettere in luce in particolare due aspetti: l’entusiasmo risorgimentale veronese e la delusione postrisorgimentale, di cui furono interpreti figure di spicco del clero scaligero. La persecuzione cui la chiesa è esposta non affievolisce però l’adesione del clero alla causa nazionale, almeno nelle figure più impegnate. All’intiepidirsi della passione patriottica da parte del clero e quindi di riflesso di una parte della popolazione, fa da contraltare il crescente impegno delle autorità civili per alimentare la fiamma della religione della patria con cerimonie laiche ai piedi di monumenti ed epigrafi di cui la città si va costellando, e che sono il contributo veronese alla creazione del mito nazionale del Risorgimento, a consolidare il quale lavorano incessantemente le forze liberali e massoniche. Svariate le fonti utilizzate per il presente lavoro. Si è inteso però privilegiare alcuni personaggi di punta del clero veronese, che grazie al loro impegno come scrittori di storia locale e autobiografica, ci hanno lasciato pagine insostituibili sia degli eventi vissuti dalla città di Verona sia della parabola personale dagli entusiasmi del 1848 al doloroso risveglio sulla vera natura del governo dell’Italia unita. La crescente ostilità governativa nei confronti del clero e della chiesa non ha però loro impedito di offrire un decisivo contributo alla costruzione dell’identità nazionale in terra scaligera, impegnati in prima fila a dedicare all’epopea risorgimentale monumenti cartacei, essendo quelli marmorei appannaggio delle pubbliche autorità, che essi hanno comunque onorato con il loro comportamento e illustrato nelle loro opere. Tra loro spiccano le figure di don Leopoldo Stegagnini, don Antonio Pighi, don Pietro Zenari, don Gregorio Segala.
2008
Amore per la patria italiana del clero veronese dopo il 1866
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