Nell’articolo pubblicato sulla «Berlinische Monatsschrift», nel maggio 1785, Dell’illegittimità dell’editoria pirata, Kant regala al lettore una squisita argomentazione aristotelica che mette in gioco la teoria degli abiti del sesto libro dell’Etica nicomachea. L’argomento kantiano si basa sulla distinzione tra opus e opera, il primo risultato della techné, la seconda della phrónesis: L’esemplare sulla base del quale l’editore fa stampare è un’opera dell’autore (opus) e appartiene completamente all’editore dopo che questi lo ha acquisito in manoscritto o a stampa per fare con esso tutto ciò che vuole o possa essere fatto nel suo proprio nome; infatti questo è un requisito del diritto perfetto su una cosa, cioè sulla proprietà. Però l’uso che egli non può fare se non nel nome di un altro (ovvero dell’autore) è un negozio (opera), che quest’altro conduce attraverso il proprietario dell’esemplare, e per il quale viene richiesto oltre alla proprietà anche un contratto particolare. Dal punto di vista sollevato in questo scritto, la determinazione dei confini della proprietà intellettuale, l’opera d’arte è dunque sicuramente opus, poiché è una ‹cosa› (Ding), che può essere imitata, ricalcata sulla base di un unico esemplare, che sia stato acquisito legalmente e le copie del quale «possono essere fatte circolare pubblicamente senza che vi sia bisogno del consenso del creatore del loro originale ovvero di coloro che hanno eseguito l’opera usando le sue idée». Al pari dell’opera d’arte, spiega Kant nel § 31,II della Metaphysik der Sitten, anche il libro si presenta come un «prodotto artistico corporeo (opus mechanicum)». Non si limita però a essere una cosa: è anche «un discorso dell’editore al pubblico, il quale non ha potestà di ripeterlo in pubblico (praestatio operae) senza avere il mandato dell’autore».

Opus e opera. Accusativo di oggetto e accusativo di soggetto

POZZO, Riccardo
2010-01-01

Abstract

Nell’articolo pubblicato sulla «Berlinische Monatsschrift», nel maggio 1785, Dell’illegittimità dell’editoria pirata, Kant regala al lettore una squisita argomentazione aristotelica che mette in gioco la teoria degli abiti del sesto libro dell’Etica nicomachea. L’argomento kantiano si basa sulla distinzione tra opus e opera, il primo risultato della techné, la seconda della phrónesis: L’esemplare sulla base del quale l’editore fa stampare è un’opera dell’autore (opus) e appartiene completamente all’editore dopo che questi lo ha acquisito in manoscritto o a stampa per fare con esso tutto ciò che vuole o possa essere fatto nel suo proprio nome; infatti questo è un requisito del diritto perfetto su una cosa, cioè sulla proprietà. Però l’uso che egli non può fare se non nel nome di un altro (ovvero dell’autore) è un negozio (opera), che quest’altro conduce attraverso il proprietario dell’esemplare, e per il quale viene richiesto oltre alla proprietà anche un contratto particolare. Dal punto di vista sollevato in questo scritto, la determinazione dei confini della proprietà intellettuale, l’opera d’arte è dunque sicuramente opus, poiché è una ‹cosa› (Ding), che può essere imitata, ricalcata sulla base di un unico esemplare, che sia stato acquisito legalmente e le copie del quale «possono essere fatte circolare pubblicamente senza che vi sia bisogno del consenso del creatore del loro originale ovvero di coloro che hanno eseguito l’opera usando le sue idée». Al pari dell’opera d’arte, spiega Kant nel § 31,II della Metaphysik der Sitten, anche il libro si presenta come un «prodotto artistico corporeo (opus mechanicum)». Non si limita però a essere una cosa: è anche «un discorso dell’editore al pubblico, il quale non ha potestà di ripeterlo in pubblico (praestatio operae) senza avere il mandato dell’autore».
2010
9788864850030
Soggetto; oggetto; mimesis; Arsitotele; Kant
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/344014
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