Il testo considera le caratteristiche del dissenso religioso – soprattutto nelle dimensioni dell’irreligiosità e della miscredenza – a Venezia in un periodo compreso fra la metà del Seicento e gli anni Quaranta del secolo successivo. Un periodo che vede la sovrapposizione continua di brandelli di teorie, idee, convinzioni, che avevano in buona misura perso qualsiasi riferimento al quadro riformato, e vivevano di vita propria. Più che identificare proposizioni o principi appartenenti geneticamente a questa o quella tradizione eterodossa, diventa quindi importante verificare le sintesi e l’incrocio di fermenti culturali diversi in una zona grigia in cui i loro connotati sfumavano e si compenetravano secondo una logica dinamica, di comunicazione, che mette in primo piano l'elaborazione individuale come esito dell'interazione fra più individui. Proprio l’interazione e la “comunicazione” pubblica o semipubblica del dissenso caratterizza quello che appare essere stato come un dissenso “rumoroso” e poco misurato, in cui la dissimulazione si configurava per lo più nella selezione degli ambienti e delle occasioni in cui formulare discorsi “ribelli” che andavano resi pubblici: l’ostentazione della diversità era funzionale alla creazione di un’identità sociale. Discussioni e dispute fungevano quindi come palcoscenici in qualche modo deresponsabilizzanti, spazi liberi di espressione, nei quali la contesa teologico-politica costituiva una zona franca in cui poter dibattere, presentare convinzioni e argomenti anche audaci per puro gusto.

Dissensi espliciti e dissimulazioni mancate. Miscredenza e forme del discorso eterodosso in età moderna

BARBIERATO, Federico
2009-01-01

Abstract

Il testo considera le caratteristiche del dissenso religioso – soprattutto nelle dimensioni dell’irreligiosità e della miscredenza – a Venezia in un periodo compreso fra la metà del Seicento e gli anni Quaranta del secolo successivo. Un periodo che vede la sovrapposizione continua di brandelli di teorie, idee, convinzioni, che avevano in buona misura perso qualsiasi riferimento al quadro riformato, e vivevano di vita propria. Più che identificare proposizioni o principi appartenenti geneticamente a questa o quella tradizione eterodossa, diventa quindi importante verificare le sintesi e l’incrocio di fermenti culturali diversi in una zona grigia in cui i loro connotati sfumavano e si compenetravano secondo una logica dinamica, di comunicazione, che mette in primo piano l'elaborazione individuale come esito dell'interazione fra più individui. Proprio l’interazione e la “comunicazione” pubblica o semipubblica del dissenso caratterizza quello che appare essere stato come un dissenso “rumoroso” e poco misurato, in cui la dissimulazione si configurava per lo più nella selezione degli ambienti e delle occasioni in cui formulare discorsi “ribelli” che andavano resi pubblici: l’ostentazione della diversità era funzionale alla creazione di un’identità sociale. Discussioni e dispute fungevano quindi come palcoscenici in qualche modo deresponsabilizzanti, spazi liberi di espressione, nei quali la contesa teologico-politica costituiva una zona franca in cui poter dibattere, presentare convinzioni e argomenti anche audaci per puro gusto.
2009
Dissimulazione; Inquisizione; Miscredenza
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/340400
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