Il lavoro di ricerca ha per oggetto le traduzioni iberiche della Confessio Amantis di John Gower, due versioni in prosa del secolo XV, pervenuteci in un unico testimone rispettivamente. In particolare, si presenta l’edizione diplomatica di parte del ms. Madrid, Real Biblioteca, II-3088, compilato in lingua portoghese, copia effettuata nella città di Ceuta nel 1430, il cui originale fu probabilmente quel Livro do amante citato nell’inventario della biblioteca privata di Edoardo I di Portogallo, oggi considerato perduto. Se ne trascrivono per la prima volta, dopo il ritrovamento avvenuto nel 1995, il Prologo ed i Libri I, II, III, IV secondo criteri strettamente paleografici; fanno seguito l’edizione critica degli stessi ed il confronto tra le due traduzioni iberiche, al fine di determinare il tipo di rapporto tra le stesse ed il tipo di filiazione rispetto all’opera inglese, e di giustificarne, contestualizzandola, la ricezione nell’ambito delle corti iberiche, legate tra loro da relazioni familiari, e dei gusti letterari del tardo Medioevo peninsulare. L’opera, e le sue traduzioni, è un ars amandi in otto libri, oltre al prologo, in cui un Confessore illustra ad un Amante, in una cornice dialogica, i diversi comportamenti peccaminosi o virtuosi, attraverso exempla tratti da fonti antiche e coeve. Il settimo libro è un trattato di educazione del principe, che vede per protagonista la figura di Alessandro Magno. Nell’ultimo libro viene inserita la storia di Apollonio di Tiro. Edizione diplomatica, edizione critica e confronto testuale costituiscono il nucleo centrale della Tesi di dottorato. Precede il lavoro uno studio preparatorio sulla tradizione, nonché sugli studi che la riguardano. Nella parte introduttiva si analizzano entrambi i testimoni manoscritti e si apportano nuovi dati inerenti la confezione, la circolazione e la conservazione degli stessi. Partendo dagli elementi linguistici e paralinguistici dell’incipit e del colophon, si cercano di stabilire il momento e le circostanze storiche, sociali e culturali in cui videro la luce le due traduzioni. L’apporto scientifico della Tesi è dato dallo studio e dalle edizioni diplomatica e critica del testimone portoghese, copiato in territorio nord-africano in scrittura corsiva bastarda su supporto cartaceo di provenienza europea e presto trasferito nella corte castigliana, presso la quale fu probabilmente decorato parzialmente, integrato con tavole e indici in lingua castigliana, conservato, e rilegato, per poi cadere nell’oblio per vari secoli. Riconosciuto tra gli autori più importanti della letteratura medievale inglese, divenuto famoso anche grazie al rapporto d’amicizia con Geoffrey Chaucer, ed autore in più lingue, soprattutto di opere di carattere moralizzante, John Gower compose la Confessio Amantis alla fine del secolo XIV, in tre redazioni consecutive, la prima delle quali si fa risalire ad attorno al 1386. Una copia manoscritta di questa, caratterizzata dalla dedica al re Riccardo II e dal riferimento al poeta Chaucer, presente nell’epilogo, servì da modello per la traduzione portoghese che venne probabilmente prodotta presso la corte della regina Filippa di Portogallo, discendente della famiglia plantageneta, stabilitasi in territorio lusitano in seguito alle nozze con Giovanni I di Avis, avvenute nel 1387. Filippa, e Caterina, sovrana di Castiglia, figlie entrambe del duca di Lancaster, Giovanni di Gant, il quale era intervenuto in più occasioni nelle vicende iberiche della Guerra dei Cent’anni, lasciarono in eredità ai figli Edoardo I e Giovanni II, principi e re di Portogallo e di Castiglia rispettivamente, l’opera di Gower, già tradotta, o in lingua originale. Le traduzioni, eseguite in portoghese da Roberto Paim, di origini inglesi - e il cui cognome fa sospettare che fosse legato da vincoli familiari con la consorte di Chaucer, Philippa Payn -, ed in castigliano da Juan de Cuenca, appartenente ai circoli nobiliari di Huete, città che ospitava molti esiliati di origine portoghese, sono giunte in due apografi del secolo XV: la copia in portoghese risale al 1430 e fu eseguita a Ceuta da João Barroso per conto di Fernando de Castro ‘il giovane’; l’esemplare castigliano, il cui incipit dà notizia della traduzione portoghese di Paim quale base per la traduzione castigliana, è da situare negli anni ’80 dello stesso secolo. La presenza di un elevato numero di errori di copia, interni ed esterni, così come di lacune e di spazi in bianco, testimoniano come entrambi i manoscritti siano copie di originali perduti, eseguite ai fini della conservazione presso le biblioteche reali, probabilmente per uso privato dei sovrani. Non è stato possibile determinare l’appartenenza dei testimoni, per mancanza totale di riferimenti extratestuali o, nel caso del manoscritto castigliano, a causa della perdita dell’inventario dei beni librari di Filippo II, di cui si crede facesse parte. Il sovrano, fondatore del Monastero de El Escorial, presso la cui biblioteca si conserva la Confisyon del amante castigliana, donò vari volumi personali; tra questi, non è da escludere che fosse presente anche il manoscritto castigliano, che fu uno dei primi volumi consegnati alla nuova istituzione, nel 1575, come si legge nell’inventario di Briviesca. Il testimone portoghese, trasferito da Ceuta alla corte castigliana di Giovanni II, fu integrato nella sua confezione presso la biblioteca reale, tra i cui fondi non catalogati è rimasto conservato fino a circa un decennio fa. La presenza della traduzione portoghese della Confessio Amantis di Gower presso l’ambiente letterario della corte castigliana destò, con tutta probabilità, l’interesse del pubblico, o del singolo sovrano, per un’ulteriore traduzione in lingua castigliana. Il confronto tra i due testi, e di questi con l’opera del poeta inglese, dimostra la diretta dipendenza della Confisyon del amante dalla Confessio portoghese, nonostante sia evidente che la traduzione lusitana è molto più fedele al testo inglese, del quale riproduce quasi servilmente la sintassi, le scelte lessicali e lo stile, sebbene si tratti di una traduzione in prosa di una composizione in versi. Al contrario, nel traduttore castigliano è evidente un costante senso critico, inteso all’innovazione linguistica e all’abbellimento stilistico dello scarno testo portoghese, ma non è esente da ben più semplici errori meccanici, di lettura o di interpretazione, molto spesso già presenti nella traduzione in lingua lusitana. I risultati del presente lavoro costituiscono una proposta di integrazione, di rielaborazione e di aggiornamento degli studi già presenti sulla tradizione della Confessio Amantis nella penisola iberica. Le edizioni paleografica ed interpretativa del testo portoghese rendono il testo fungibile e lo propongono come punto di partenza per future e più specializzate ricerche. Le uniche due copie iberiche conosciute sono le superstiti di una tradizione che si sospetta più ampia, e che trovò la propria fortuna nell’ambito delle corti letterarie preumanistiche di Edoardo I di Avis e di Giovanni II di Trastamara. Un ulteriore lavoro di catalogazione dei fondi inesplorati delle tante biblioteche pubbliche e private esistenti dentro e fuori il territorio iberico potrebbe riservare più di una sorpresa.

Non disponibile

La fortuna de la confessio amantis en la penìnsula ibérica: estudio comparativo de las traducciones y ediciòn del ms. Madrid, Real biblioteca, II-3088 (Prologo, I, II, III, IV Libros)

FACCON, MANUELA
2007-01-01

Abstract

Non disponibile
2007
confessio amantis; penìnsula ibérica
Il lavoro di ricerca ha per oggetto le traduzioni iberiche della Confessio Amantis di John Gower, due versioni in prosa del secolo XV, pervenuteci in un unico testimone rispettivamente. In particolare, si presenta l’edizione diplomatica di parte del ms. Madrid, Real Biblioteca, II-3088, compilato in lingua portoghese, copia effettuata nella città di Ceuta nel 1430, il cui originale fu probabilmente quel Livro do amante citato nell’inventario della biblioteca privata di Edoardo I di Portogallo, oggi considerato perduto. Se ne trascrivono per la prima volta, dopo il ritrovamento avvenuto nel 1995, il Prologo ed i Libri I, II, III, IV secondo criteri strettamente paleografici; fanno seguito l’edizione critica degli stessi ed il confronto tra le due traduzioni iberiche, al fine di determinare il tipo di rapporto tra le stesse ed il tipo di filiazione rispetto all’opera inglese, e di giustificarne, contestualizzandola, la ricezione nell’ambito delle corti iberiche, legate tra loro da relazioni familiari, e dei gusti letterari del tardo Medioevo peninsulare. L’opera, e le sue traduzioni, è un ars amandi in otto libri, oltre al prologo, in cui un Confessore illustra ad un Amante, in una cornice dialogica, i diversi comportamenti peccaminosi o virtuosi, attraverso exempla tratti da fonti antiche e coeve. Il settimo libro è un trattato di educazione del principe, che vede per protagonista la figura di Alessandro Magno. Nell’ultimo libro viene inserita la storia di Apollonio di Tiro. Edizione diplomatica, edizione critica e confronto testuale costituiscono il nucleo centrale della Tesi di dottorato. Precede il lavoro uno studio preparatorio sulla tradizione, nonché sugli studi che la riguardano. Nella parte introduttiva si analizzano entrambi i testimoni manoscritti e si apportano nuovi dati inerenti la confezione, la circolazione e la conservazione degli stessi. Partendo dagli elementi linguistici e paralinguistici dell’incipit e del colophon, si cercano di stabilire il momento e le circostanze storiche, sociali e culturali in cui videro la luce le due traduzioni. L’apporto scientifico della Tesi è dato dallo studio e dalle edizioni diplomatica e critica del testimone portoghese, copiato in territorio nord-africano in scrittura corsiva bastarda su supporto cartaceo di provenienza europea e presto trasferito nella corte castigliana, presso la quale fu probabilmente decorato parzialmente, integrato con tavole e indici in lingua castigliana, conservato, e rilegato, per poi cadere nell’oblio per vari secoli. Riconosciuto tra gli autori più importanti della letteratura medievale inglese, divenuto famoso anche grazie al rapporto d’amicizia con Geoffrey Chaucer, ed autore in più lingue, soprattutto di opere di carattere moralizzante, John Gower compose la Confessio Amantis alla fine del secolo XIV, in tre redazioni consecutive, la prima delle quali si fa risalire ad attorno al 1386. Una copia manoscritta di questa, caratterizzata dalla dedica al re Riccardo II e dal riferimento al poeta Chaucer, presente nell’epilogo, servì da modello per la traduzione portoghese che venne probabilmente prodotta presso la corte della regina Filippa di Portogallo, discendente della famiglia plantageneta, stabilitasi in territorio lusitano in seguito alle nozze con Giovanni I di Avis, avvenute nel 1387. Filippa, e Caterina, sovrana di Castiglia, figlie entrambe del duca di Lancaster, Giovanni di Gant, il quale era intervenuto in più occasioni nelle vicende iberiche della Guerra dei Cent’anni, lasciarono in eredità ai figli Edoardo I e Giovanni II, principi e re di Portogallo e di Castiglia rispettivamente, l’opera di Gower, già tradotta, o in lingua originale. Le traduzioni, eseguite in portoghese da Roberto Paim, di origini inglesi - e il cui cognome fa sospettare che fosse legato da vincoli familiari con la consorte di Chaucer, Philippa Payn -, ed in castigliano da Juan de Cuenca, appartenente ai circoli nobiliari di Huete, città che ospitava molti esiliati di origine portoghese, sono giunte in due apografi del secolo XV: la copia in portoghese risale al 1430 e fu eseguita a Ceuta da João Barroso per conto di Fernando de Castro ‘il giovane’; l’esemplare castigliano, il cui incipit dà notizia della traduzione portoghese di Paim quale base per la traduzione castigliana, è da situare negli anni ’80 dello stesso secolo. La presenza di un elevato numero di errori di copia, interni ed esterni, così come di lacune e di spazi in bianco, testimoniano come entrambi i manoscritti siano copie di originali perduti, eseguite ai fini della conservazione presso le biblioteche reali, probabilmente per uso privato dei sovrani. Non è stato possibile determinare l’appartenenza dei testimoni, per mancanza totale di riferimenti extratestuali o, nel caso del manoscritto castigliano, a causa della perdita dell’inventario dei beni librari di Filippo II, di cui si crede facesse parte. Il sovrano, fondatore del Monastero de El Escorial, presso la cui biblioteca si conserva la Confisyon del amante castigliana, donò vari volumi personali; tra questi, non è da escludere che fosse presente anche il manoscritto castigliano, che fu uno dei primi volumi consegnati alla nuova istituzione, nel 1575, come si legge nell’inventario di Briviesca. Il testimone portoghese, trasferito da Ceuta alla corte castigliana di Giovanni II, fu integrato nella sua confezione presso la biblioteca reale, tra i cui fondi non catalogati è rimasto conservato fino a circa un decennio fa. La presenza della traduzione portoghese della Confessio Amantis di Gower presso l’ambiente letterario della corte castigliana destò, con tutta probabilità, l’interesse del pubblico, o del singolo sovrano, per un’ulteriore traduzione in lingua castigliana. Il confronto tra i due testi, e di questi con l’opera del poeta inglese, dimostra la diretta dipendenza della Confisyon del amante dalla Confessio portoghese, nonostante sia evidente che la traduzione lusitana è molto più fedele al testo inglese, del quale riproduce quasi servilmente la sintassi, le scelte lessicali e lo stile, sebbene si tratti di una traduzione in prosa di una composizione in versi. Al contrario, nel traduttore castigliano è evidente un costante senso critico, inteso all’innovazione linguistica e all’abbellimento stilistico dello scarno testo portoghese, ma non è esente da ben più semplici errori meccanici, di lettura o di interpretazione, molto spesso già presenti nella traduzione in lingua lusitana. I risultati del presente lavoro costituiscono una proposta di integrazione, di rielaborazione e di aggiornamento degli studi già presenti sulla tradizione della Confessio Amantis nella penisola iberica. Le edizioni paleografica ed interpretativa del testo portoghese rendono il testo fungibile e lo propongono come punto di partenza per future e più specializzate ricerche. Le uniche due copie iberiche conosciute sono le superstiti di una tradizione che si sospetta più ampia, e che trovò la propria fortuna nell’ambito delle corti letterarie preumanistiche di Edoardo I di Avis e di Giovanni II di Trastamara. Un ulteriore lavoro di catalogazione dei fondi inesplorati delle tante biblioteche pubbliche e private esistenti dentro e fuori il territorio iberico potrebbe riservare più di una sorpresa.
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Tipologia: Tesi di dottorato
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