La complessità della Fedra di Seneca è dimostrata dai diversi punti di vista da cui la critica ha condotto l’analisi del testo e dai diversi risultati raggiunti. Uno dei primi problemi presentati da questa come da tutte le tragedie senecane deriva dal fatto che il drammaturgo, notoriamente, era anche filosofo e ha infatti lasciato molti trattati, in cui compare un’immagine del mondo radicalmente diversa da quella offerta dalle tragedie, ad essa in molti casi addirittura opposta. Il problema del rapporto tra poesia e filosofia in Seneca tragico ha attirato dunque molta attenzione da parte della critica, ed è l’oggetto precipuo di alcuni tra i più importanti saggi sulla Fedra, in cui si tenta di presentare la tragedia come un testo stoico: mi riferisco, in particolare, a Lefèvre 1969, Leeman 1976, Pratt 1983 e Giancotti 1986. Il rapporto tra poesia e filosofia, anche a causa di tanto illustre critica precedente, troverà solo tangenzialmente discussione all’interno del presente lavoro; su tale rapporto, mi limito in questa sede a riportare alcuni dei presupposti teorici dell’opera di Giancotti 1986 con i quali mi trovo sostanzialmente d’accordo: «fra Seneca tragico e Seneca filosofo scorgiamo un’essenziale armonia. Non la subordinazione del tragico al filosofo che altri ha ravvisata. Neppure la separazione o addirittura contrapposizione o contraddizione, di cui già in passato variamente si credette di aver trovato segni sicuri e che di recente sono state riasserite. Armonia vuol dire, non coincidenza rigidamente intesa, ma relazione di intima concordia fra due attività ciascuna delle quali è, e permane, caratterizzata da una specificità propria. Si può parlare anche di unità, ma si deve, a nostro avviso, concepire, non già un’unità astratta o statica, bensì un’unità concreta o dinamica. Se si preferisce, dialettica». Al fine dell’interpretazione di una tragedia varia e complessa come la Fedra, trovo particolarmente valide anche le seguenti affermazioni dello studioso, che riconoscono all’animo senecano la dovuta libertà e grandezza: «[…] la poetica didascalica e moralistica non ha impedito a Seneca tragico d’essere poeta autentico più spesso, o meno di rado, rispetto a quanto credeva una vecchia critica negativa che continua a trovare seguaci […] Seneca non di rado è poeta, non già perché rinnega la poetica didascalica e moralistica, ma perché ne adempie i principi essenziali senza rigidità, senza astrattezza, senza scolastiche pedanterie, insomma con la libertà di una fantasia in cui la filosofia e più specialmente l’etica sono temi e motivi ispiratori, al pari dei sentimenti. Nella Fedra appunto noi vediamo un caso eminente di tale realizzazione della poetica che non mortifica la poesia». Proprio l’essere Seneca, nelle tragedie, poeta prima che filosofo, può spiegare ciò che nei suoi personaggi non funziona del tutto secondo la dottrina stoica, ciò che li rende sommamente tragici e poeticamente umani, e che ha portato Hine 2000, nel suo commento a Medea, a concludere che «a general Stoic reading of the play is problematic».

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Il sistema delle relazioni nella Fedra di Seneca: una lettura pragmatica

CALABRESE, Evita
2007-01-01

Abstract

Non disponibile
2007
Fedra; Seneca
La complessità della Fedra di Seneca è dimostrata dai diversi punti di vista da cui la critica ha condotto l’analisi del testo e dai diversi risultati raggiunti. Uno dei primi problemi presentati da questa come da tutte le tragedie senecane deriva dal fatto che il drammaturgo, notoriamente, era anche filosofo e ha infatti lasciato molti trattati, in cui compare un’immagine del mondo radicalmente diversa da quella offerta dalle tragedie, ad essa in molti casi addirittura opposta. Il problema del rapporto tra poesia e filosofia in Seneca tragico ha attirato dunque molta attenzione da parte della critica, ed è l’oggetto precipuo di alcuni tra i più importanti saggi sulla Fedra, in cui si tenta di presentare la tragedia come un testo stoico: mi riferisco, in particolare, a Lefèvre 1969, Leeman 1976, Pratt 1983 e Giancotti 1986. Il rapporto tra poesia e filosofia, anche a causa di tanto illustre critica precedente, troverà solo tangenzialmente discussione all’interno del presente lavoro; su tale rapporto, mi limito in questa sede a riportare alcuni dei presupposti teorici dell’opera di Giancotti 1986 con i quali mi trovo sostanzialmente d’accordo: «fra Seneca tragico e Seneca filosofo scorgiamo un’essenziale armonia. Non la subordinazione del tragico al filosofo che altri ha ravvisata. Neppure la separazione o addirittura contrapposizione o contraddizione, di cui già in passato variamente si credette di aver trovato segni sicuri e che di recente sono state riasserite. Armonia vuol dire, non coincidenza rigidamente intesa, ma relazione di intima concordia fra due attività ciascuna delle quali è, e permane, caratterizzata da una specificità propria. Si può parlare anche di unità, ma si deve, a nostro avviso, concepire, non già un’unità astratta o statica, bensì un’unità concreta o dinamica. Se si preferisce, dialettica». Al fine dell’interpretazione di una tragedia varia e complessa come la Fedra, trovo particolarmente valide anche le seguenti affermazioni dello studioso, che riconoscono all’animo senecano la dovuta libertà e grandezza: «[…] la poetica didascalica e moralistica non ha impedito a Seneca tragico d’essere poeta autentico più spesso, o meno di rado, rispetto a quanto credeva una vecchia critica negativa che continua a trovare seguaci […] Seneca non di rado è poeta, non già perché rinnega la poetica didascalica e moralistica, ma perché ne adempie i principi essenziali senza rigidità, senza astrattezza, senza scolastiche pedanterie, insomma con la libertà di una fantasia in cui la filosofia e più specialmente l’etica sono temi e motivi ispiratori, al pari dei sentimenti. Nella Fedra appunto noi vediamo un caso eminente di tale realizzazione della poetica che non mortifica la poesia». Proprio l’essere Seneca, nelle tragedie, poeta prima che filosofo, può spiegare ciò che nei suoi personaggi non funziona del tutto secondo la dottrina stoica, ciò che li rende sommamente tragici e poeticamente umani, e che ha portato Hine 2000, nel suo commento a Medea, a concludere che «a general Stoic reading of the play is problematic».
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/338074
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