All’origine di questa tesi ci si era inizialmente proposti di colmare una lacuna nella conoscenza della storia della burocrazia centrale della Repubblica di Venezia nel ’700. Si trattava di un soggetto storico la cui scelta poteva far riferimento a una consolidata tradizione di studi di Storia veneta. In questo senso a partire dagli anni sessanta del Novecento le pionieristiche esperienze storiografiche di Gaetano Cozzi sul dibattito costituzionale e le procedure di giustizia penale a Venezia nonché di Angelo Ventura sulla diplomazia dello Stato marciano hanno gettato le premesse per una feconda stagione di studi. Fra gli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso i lavori di Giuseppe Trebbi e di Andrea Zannini hanno compreso l’importanza dell’argomento sia nei termini di stabilità dell’assetto costituzionale veneziano in quanto nella Cancelleria ducale trovava impiego quel ceto intermedio, definito dalla condizione giuridica della cittadinanza originaria, che era escluso dalla partecipazione attiva del governo aristocratico e sia in termini di mediazione burocratica nel processo legislativo fra il Palazzo ducale e il resto del dominio della Repubblica. L’assenza di approfonditi studi che permettessero di completare il quadro generale dell’assetto cancelleresco per il Settecento impediva di afferrare quell’implicazione con il potere patrizio che per la stretta continuità dell’“ordine dei segretari” con il corpo aristocratico a Venezia aveva portato gli storici a porre il problema delle disfunzioni che questi funzionari manifestavano nell’esplicitare la loro quotidiana attività di servizio pubblico. Allo stesso tempo rispetto alle ragioni storiche dell’iniziale fortuna dello studio di questo gruppo professionale era opportuno tener conto di un ventennio di studi di storia sociale che permettevano ora di riconsiderare questo argomento all’interno di una prospettiva di più ampio respiro di temi e problemi. Del resto porsi la domanda, come fece il patriziato veneziano, del rapporto fra coloro che lavoravano in Cancelleria e coloro che erano nominalmente impiegati in essa significava porre una questione che mantiene un suo interesse pure per la ricerca sulla burocrazia contemporanea. A più riprese, di cui l’ultima nel settembre del 1781, i Cancellieri grandi nelle loro “scritture informative” al Consiglio dei X presentarono la questione della proporzione tra i segretari e i notai ducali occupati nella Cancelleria ducale e i funzionari che erano realmente produttivi. L’incognita era il rapporto fra coloro che erano “attivi” rispetto a coloro che erano, secondo le dizioni, “decrepiti”, “ritirati in casa” o “capifamiglia”, per cui erano considerati inabili al servizio pubblico a Venezia o all’estero.

Non disponibile

Mandarini veneziani. La cancelleria ducale nel Settecento

GALTAROSSA, Massimo
2007-01-01

Abstract

Non disponibile
2007
mandarini veneziani; cancelleria ducale
All’origine di questa tesi ci si era inizialmente proposti di colmare una lacuna nella conoscenza della storia della burocrazia centrale della Repubblica di Venezia nel ’700. Si trattava di un soggetto storico la cui scelta poteva far riferimento a una consolidata tradizione di studi di Storia veneta. In questo senso a partire dagli anni sessanta del Novecento le pionieristiche esperienze storiografiche di Gaetano Cozzi sul dibattito costituzionale e le procedure di giustizia penale a Venezia nonché di Angelo Ventura sulla diplomazia dello Stato marciano hanno gettato le premesse per una feconda stagione di studi. Fra gli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso i lavori di Giuseppe Trebbi e di Andrea Zannini hanno compreso l’importanza dell’argomento sia nei termini di stabilità dell’assetto costituzionale veneziano in quanto nella Cancelleria ducale trovava impiego quel ceto intermedio, definito dalla condizione giuridica della cittadinanza originaria, che era escluso dalla partecipazione attiva del governo aristocratico e sia in termini di mediazione burocratica nel processo legislativo fra il Palazzo ducale e il resto del dominio della Repubblica. L’assenza di approfonditi studi che permettessero di completare il quadro generale dell’assetto cancelleresco per il Settecento impediva di afferrare quell’implicazione con il potere patrizio che per la stretta continuità dell’“ordine dei segretari” con il corpo aristocratico a Venezia aveva portato gli storici a porre il problema delle disfunzioni che questi funzionari manifestavano nell’esplicitare la loro quotidiana attività di servizio pubblico. Allo stesso tempo rispetto alle ragioni storiche dell’iniziale fortuna dello studio di questo gruppo professionale era opportuno tener conto di un ventennio di studi di storia sociale che permettevano ora di riconsiderare questo argomento all’interno di una prospettiva di più ampio respiro di temi e problemi. Del resto porsi la domanda, come fece il patriziato veneziano, del rapporto fra coloro che lavoravano in Cancelleria e coloro che erano nominalmente impiegati in essa significava porre una questione che mantiene un suo interesse pure per la ricerca sulla burocrazia contemporanea. A più riprese, di cui l’ultima nel settembre del 1781, i Cancellieri grandi nelle loro “scritture informative” al Consiglio dei X presentarono la questione della proporzione tra i segretari e i notai ducali occupati nella Cancelleria ducale e i funzionari che erano realmente produttivi. L’incognita era il rapporto fra coloro che erano “attivi” rispetto a coloro che erano, secondo le dizioni, “decrepiti”, “ritirati in casa” o “capifamiglia”, per cui erano considerati inabili al servizio pubblico a Venezia o all’estero.
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