Obiettivo è quello di esaminare – in Aristotele e Platone - il modo e grado di coinvolgimento di anima e corpo nella dinamica dei pàthe, cioè, con un uso ampio e generico del termine, delle funzioni (sensazioni, emozioni, fino al ragionamento e pensiero) di cui il soggetto è capace. L’uso ampio del termine è avallato da un passo del ‘De Anima’ (A 1, 403a6-7), dove Aristotele chiama ‘pàthos’ tutto ciò che l’anima “subisce ed opera”, dunque non solo la risposta a uno stimolo esterno, ma anche ciò che l’anima potrebbe ‘agire’ in proprio e da sola, senza il supporto del corpo, come il pensiero (noèin). Veri l’ilemorfismo e il funzionalismo tradizionalmente ascritti ad Aristotele, solo tale separabilità funzionale garantirebbe poi una qualche separabilità dell’anima dal corpo e dunque la sua stessa immortalità. Anima e corpo paiono in realtà operare sempre – strettamente - di conserva (403a16), come mostra il fatto che, se il corpo reagisce ad uno stimolo esterno (‘pàthema’), la risposta affettiva a tale stimolo non è, poi, predeterminata e universale, ma sempre dipendente, nella tipologia e intensità, dallo specifico stato del corpo stesso. Come chiarisce l’esempio dell’ira (403a 24-7), ogni ‘pàthos’ è dunque movimento (‘kìnesis’) di un determinato corpo, dove è a livello di ‘questa’ specifica materia e di ‘questo’ specifico corpo che si decide che cosa causi il moto stesso e quanto ampio esso sia, ma è a livello dell’anima, del ‘lògos’ capace d’incarnarsi (‘ènulos’), che si decide che quel moto fisico sia ‘formato’ come ira, piuttosto che come paura od amore. Lo stesso dovrebbe avvenire per il ‘pàthos’ intelletto, che esige a sua volta un riferimento al corpo, “almeno perché subordinato all’immaginazione e dunque agli organi di senso, se non perché collocato in un preciso organo” (p. 60). In effetti (403a26-b9), Aristotele pare ammettere una sorta di contestualità operativa fra intelletto e corpo, che solo la diversità dell’approccio ad essi fra dialettico e fisico, ma non certo una loro separabilità fattuale, consente di distinguere. Anche i passi di De An. 4 sono leggibili nel medesimo senso: dunque “non è l’anima come tale a muoversi, ma l’uomo, il vivente, ‘per suo tramite’” (408b14-15). L’esame di alcuni passi del ‘Fedone’ (65a9-b1; 65b7-9), del ‘Timeo’ (45c7-d3; 64b3-c3) e soprattutto del ‘Filebo’ (32c3-5; 34b3-5; 35c-d; 33d1-6; 34 a2-5) consente di rinvenire un impianto sostanzialmente simile anche in Platone, nonostante il dualismo anima-corpo tradizionalmente ascrittogli ed anzi di contro ad esso. In particolare nell’ultimo dialogo, si avrebbe “sensazione quando non solo, come nel ‘Timeo’, i moti causati dalle affezioni patite dall’organismo pervengano… all’anima e più precisamente alla sua parte razionale, che ne diviene, così, consapevole; <ma> si precisa che tale possibilità che non sfuggano all’anima le affezioni che scuotono il corpo…è garantita solo da un ‘moto combinato e contestuale di corpo ed anima’, in cui entrambi subiscano le medesime scosse e siano sottoposti ‘in comune’ allo stesso moto” (pp. 69-70).

Dinamiche psicosomatiche fra Aristotele ('De An.' A 1 e 4) e Platone ('Fedone', 'Timeo', 'Filebo')

NAPOLITANO, Linda
2006-01-01

Abstract

Obiettivo è quello di esaminare – in Aristotele e Platone - il modo e grado di coinvolgimento di anima e corpo nella dinamica dei pàthe, cioè, con un uso ampio e generico del termine, delle funzioni (sensazioni, emozioni, fino al ragionamento e pensiero) di cui il soggetto è capace. L’uso ampio del termine è avallato da un passo del ‘De Anima’ (A 1, 403a6-7), dove Aristotele chiama ‘pàthos’ tutto ciò che l’anima “subisce ed opera”, dunque non solo la risposta a uno stimolo esterno, ma anche ciò che l’anima potrebbe ‘agire’ in proprio e da sola, senza il supporto del corpo, come il pensiero (noèin). Veri l’ilemorfismo e il funzionalismo tradizionalmente ascritti ad Aristotele, solo tale separabilità funzionale garantirebbe poi una qualche separabilità dell’anima dal corpo e dunque la sua stessa immortalità. Anima e corpo paiono in realtà operare sempre – strettamente - di conserva (403a16), come mostra il fatto che, se il corpo reagisce ad uno stimolo esterno (‘pàthema’), la risposta affettiva a tale stimolo non è, poi, predeterminata e universale, ma sempre dipendente, nella tipologia e intensità, dallo specifico stato del corpo stesso. Come chiarisce l’esempio dell’ira (403a 24-7), ogni ‘pàthos’ è dunque movimento (‘kìnesis’) di un determinato corpo, dove è a livello di ‘questa’ specifica materia e di ‘questo’ specifico corpo che si decide che cosa causi il moto stesso e quanto ampio esso sia, ma è a livello dell’anima, del ‘lògos’ capace d’incarnarsi (‘ènulos’), che si decide che quel moto fisico sia ‘formato’ come ira, piuttosto che come paura od amore. Lo stesso dovrebbe avvenire per il ‘pàthos’ intelletto, che esige a sua volta un riferimento al corpo, “almeno perché subordinato all’immaginazione e dunque agli organi di senso, se non perché collocato in un preciso organo” (p. 60). In effetti (403a26-b9), Aristotele pare ammettere una sorta di contestualità operativa fra intelletto e corpo, che solo la diversità dell’approccio ad essi fra dialettico e fisico, ma non certo una loro separabilità fattuale, consente di distinguere. Anche i passi di De An. 4 sono leggibili nel medesimo senso: dunque “non è l’anima come tale a muoversi, ma l’uomo, il vivente, ‘per suo tramite’” (408b14-15). L’esame di alcuni passi del ‘Fedone’ (65a9-b1; 65b7-9), del ‘Timeo’ (45c7-d3; 64b3-c3) e soprattutto del ‘Filebo’ (32c3-5; 34b3-5; 35c-d; 33d1-6; 34 a2-5) consente di rinvenire un impianto sostanzialmente simile anche in Platone, nonostante il dualismo anima-corpo tradizionalmente ascrittogli ed anzi di contro ad esso. In particolare nell’ultimo dialogo, si avrebbe “sensazione quando non solo, come nel ‘Timeo’, i moti causati dalle affezioni patite dall’organismo pervengano… all’anima e più precisamente alla sua parte razionale, che ne diviene, così, consapevole; si precisa che tale possibilità che non sfuggano all’anima le affezioni che scuotono il corpo…è garantita solo da un ‘moto combinato e contestuale di corpo ed anima’, in cui entrambi subiscano le medesime scosse e siano sottoposti ‘in comune’ allo stesso moto” (pp. 69-70).
2006
8889445009
Platone; Aristotele; corpo; anima; pàthos
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/318124
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