La monografia muove da un dato che accomuna l’ordinamento italiano alla situazione riscontrabile in diversi altri ordinamenti europei, ovvero la sempre maggiore frequenza, negli ultimi anni, degli impieghi normativi del criterio della “ragionevolezza” nel diritto dei contratti. Il fenomeno, che segna una netta inversione di rotta rispetto ad una tradizione (quella italiana e, più in generale, quella degli ordinamenti civilistici dell’Europa continentale) finora poca incline a riconoscere a questo criterio dignità normativa (diversamente dal ruolo pervasivo che lo standard della reasonableness riveste negli ordinamenti di common law), può imputarsi in misura considerevole all’incidenza, sul diritto interno, delle convenzioni di diritto commerciale uniforme (prima fra tutte, la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili) e dei provvedimenti legislativi volti all’armonizzazione del diritto privato europeo (soprattutto tra questi, la Direttiva 99/44 sulle garanzie nella vendita di beni di consumo). L’indagine, condotta anche attraverso l’analisi comparata delle principali esperienze giuridiche europee e di common law, evidenzia come il sempre più insistito ricorso, da parte del legislatore, alla “ragionevolezza” trovi giustificazione soprattutto nei caratteri di polivalenza funzionale che sono intrinsecamente connaturati a tale standard di valutazione: la “ragionevolezza”, criterio duttile, espressivo, già sul piano semantico, di un’esigenza di buon senso e di equilibrio, rapportata non a valori astratti ma alle circostanze concrete della contrattazione, è, infatti, in grado di svolgere più funzioni – regola di condotta, formula d’imputazione della responsabilità, presidio a garanzia dell’equilibrio contrattuale – che la pongono fatalmente in concorrenza con altri criteri parimenti elastici ben noti al diritto (continentale) dei contratti, e così, anzitutto, con quelli che si richiamano alla buona fede, alla diligenza e all’equità. Preso atto di ciò, nel volume si è cercato di delineare il significato e la portata del criterio della “ragionevolezza”, proponendo di assegnare ad esso un ruolo non già sostitutivo di quello svolto dai criteri con esso concorrenti, bensì a questi complementare, in modo da neutralizzare il rischio, da più parti paventato, di sovrapposizioni che condurrebbero inevitabilmente a svuotare di significati, se non addirittura ad annullare, quella complessa, finissima ragnatela d’interrelazioni tra i già ricordati criteri tipici della buona fede, della diligenza e dell’equità tanto faticosamente tessuta nel tempo. E tutto questo nel contesto di un’analisi tesa a proporre, del criterio in parola, una interpretazione in grado di inserirsi in modo armonico nel quadro sovranazionale entro cui il criterio medesimo è nato e si è, con tanta autorevolezza, imposto. Nel quadro tracciato, una specifica parte dell’indagine è stata dedicata all’esame delle modalità di applicazione dello standard del “ragionevole” lì dove è, attualmente, richiamato da legislatore, con particolare riguardo al problema se, nell’applicare tale criterio di valutazione, il giudice possa o debba tenere conto anche di fattori soggettivi legati alle qualità delle parti del contratto o se si tratti, invece, di un parametro esclusivamente obiettivo di valutazione. Ancora, ci si è interrogati, nella prospettiva dell’armonizzazione del diritto privato europeo, riguardo a quale ruolo possa svolgere la Corte di Giustizia delle Comunità Europee nella concretizzazione dei riferimenti al “ragionevole” nel diritto comunitario derivato: problema, questo, che investe il più generale tema dell’opportunità di un’armonizzazione attuata mediante il ricorso a clausole generali o a nozioni dal contenuto elastico

La "ragionevolezza" nel diritto dei contratti

TROIANO, Stefano
2005-01-01

Abstract

La monografia muove da un dato che accomuna l’ordinamento italiano alla situazione riscontrabile in diversi altri ordinamenti europei, ovvero la sempre maggiore frequenza, negli ultimi anni, degli impieghi normativi del criterio della “ragionevolezza” nel diritto dei contratti. Il fenomeno, che segna una netta inversione di rotta rispetto ad una tradizione (quella italiana e, più in generale, quella degli ordinamenti civilistici dell’Europa continentale) finora poca incline a riconoscere a questo criterio dignità normativa (diversamente dal ruolo pervasivo che lo standard della reasonableness riveste negli ordinamenti di common law), può imputarsi in misura considerevole all’incidenza, sul diritto interno, delle convenzioni di diritto commerciale uniforme (prima fra tutte, la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili) e dei provvedimenti legislativi volti all’armonizzazione del diritto privato europeo (soprattutto tra questi, la Direttiva 99/44 sulle garanzie nella vendita di beni di consumo). L’indagine, condotta anche attraverso l’analisi comparata delle principali esperienze giuridiche europee e di common law, evidenzia come il sempre più insistito ricorso, da parte del legislatore, alla “ragionevolezza” trovi giustificazione soprattutto nei caratteri di polivalenza funzionale che sono intrinsecamente connaturati a tale standard di valutazione: la “ragionevolezza”, criterio duttile, espressivo, già sul piano semantico, di un’esigenza di buon senso e di equilibrio, rapportata non a valori astratti ma alle circostanze concrete della contrattazione, è, infatti, in grado di svolgere più funzioni – regola di condotta, formula d’imputazione della responsabilità, presidio a garanzia dell’equilibrio contrattuale – che la pongono fatalmente in concorrenza con altri criteri parimenti elastici ben noti al diritto (continentale) dei contratti, e così, anzitutto, con quelli che si richiamano alla buona fede, alla diligenza e all’equità. Preso atto di ciò, nel volume si è cercato di delineare il significato e la portata del criterio della “ragionevolezza”, proponendo di assegnare ad esso un ruolo non già sostitutivo di quello svolto dai criteri con esso concorrenti, bensì a questi complementare, in modo da neutralizzare il rischio, da più parti paventato, di sovrapposizioni che condurrebbero inevitabilmente a svuotare di significati, se non addirittura ad annullare, quella complessa, finissima ragnatela d’interrelazioni tra i già ricordati criteri tipici della buona fede, della diligenza e dell’equità tanto faticosamente tessuta nel tempo. E tutto questo nel contesto di un’analisi tesa a proporre, del criterio in parola, una interpretazione in grado di inserirsi in modo armonico nel quadro sovranazionale entro cui il criterio medesimo è nato e si è, con tanta autorevolezza, imposto. Nel quadro tracciato, una specifica parte dell’indagine è stata dedicata all’esame delle modalità di applicazione dello standard del “ragionevole” lì dove è, attualmente, richiamato da legislatore, con particolare riguardo al problema se, nell’applicare tale criterio di valutazione, il giudice possa o debba tenere conto anche di fattori soggettivi legati alle qualità delle parti del contratto o se si tratti, invece, di un parametro esclusivamente obiettivo di valutazione. Ancora, ci si è interrogati, nella prospettiva dell’armonizzazione del diritto privato europeo, riguardo a quale ruolo possa svolgere la Corte di Giustizia delle Comunità Europee nella concretizzazione dei riferimenti al “ragionevole” nel diritto comunitario derivato: problema, questo, che investe il più generale tema dell’opportunità di un’armonizzazione attuata mediante il ricorso a clausole generali o a nozioni dal contenuto elastico
2005
9788813260989
Armonizzazione del diritto privato europeo; Clausole generali; Contratto in generale
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/241311
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