Aristotele afferma che l'immaginazione è un prodotto della sensazione. Questa impostazione viene però contraddetta nel modo più evidente dall'esperienza del sogno, tanto che Aristotele fornisce la seguente spiegazione: anche se nel sogno noi non percepiamo qualcosa di nuovo, i nostri sensi continuano a produrre stimoli nei confronti dell'immaginazione per una sorta di inerzia «e l'affezione provocata non rimane nei sensori soltanto mentre la sensazione è in atto, ma anche quando è passata» quindi «l'impressione non è negli organi di senso solo mentre percepiscono, ma anche quando hanno cessato di percepire» (De insomniis I,459 b 5). Questa attività “inerziale” degli organi di senso durante il giorno non si nota «infatti durante la giornata quei movimenti vengono repressi, giacché le sensazioni e l'intelletto sono in attività ed essi quindi scompaiono come un piccolo fuoco davanti a un grande fuoco. [...] Di notte, per l'inattività dei sensi particolari» quei movimenti si fanno invece evidenti (De insomniis I,460 b 30). Per questo neppure il fenomeno del sonno mette in discussione la tesi di Aristotele in quanto «Il vero sogno è un'immagine che proviene dal movimento delle sensazioni, quando si dorme» (De insomniis I,462 a 30). Quello che meraviglia è il fatto che tale schema sia rimasto praticamente immutato e, alla fine, sostanzialmente avvallato anche da Freud. È vero che Freud afferma che il sogno e quindi l'immaginazione sono frutto dell'attività dell'inconscio, ma questa attività non è produttiva ma solo riproduttiva: rielabora cioè le esperienze compiute durante il giorno. In tal modo l'immaginazione diventa come in Aristotele un prodotto successivo a quello dell’esperienza sensibile. Ponendo invece la fantasia come punto di partenza, Scheler si avventura per un sentiero non facile, la mia impressione di fondo è che in tal modo ripercorra una fase del pensiero di Schelling, dagli esiti però alquanto problematici.

Per una filosofia della percezione. Alcune considerazioni su Conoscenza e lavoro di Max Scheler

CUSINATO, Guido
2003-01-01

Abstract

Aristotele afferma che l'immaginazione è un prodotto della sensazione. Questa impostazione viene però contraddetta nel modo più evidente dall'esperienza del sogno, tanto che Aristotele fornisce la seguente spiegazione: anche se nel sogno noi non percepiamo qualcosa di nuovo, i nostri sensi continuano a produrre stimoli nei confronti dell'immaginazione per una sorta di inerzia «e l'affezione provocata non rimane nei sensori soltanto mentre la sensazione è in atto, ma anche quando è passata» quindi «l'impressione non è negli organi di senso solo mentre percepiscono, ma anche quando hanno cessato di percepire» (De insomniis I,459 b 5). Questa attività “inerziale” degli organi di senso durante il giorno non si nota «infatti durante la giornata quei movimenti vengono repressi, giacché le sensazioni e l'intelletto sono in attività ed essi quindi scompaiono come un piccolo fuoco davanti a un grande fuoco. [...] Di notte, per l'inattività dei sensi particolari» quei movimenti si fanno invece evidenti (De insomniis I,460 b 30). Per questo neppure il fenomeno del sonno mette in discussione la tesi di Aristotele in quanto «Il vero sogno è un'immagine che proviene dal movimento delle sensazioni, quando si dorme» (De insomniis I,462 a 30). Quello che meraviglia è il fatto che tale schema sia rimasto praticamente immutato e, alla fine, sostanzialmente avvallato anche da Freud. È vero che Freud afferma che il sogno e quindi l'immaginazione sono frutto dell'attività dell'inconscio, ma questa attività non è produttiva ma solo riproduttiva: rielabora cioè le esperienze compiute durante il giorno. In tal modo l'immaginazione diventa come in Aristotele un prodotto successivo a quello dell’esperienza sensibile. Ponendo invece la fantasia come punto di partenza, Scheler si avventura per un sentiero non facile, la mia impressione di fondo è che in tal modo ripercorra una fase del pensiero di Schelling, dagli esiti però alquanto problematici.
2003
percezione; fantasia; immaginazione; sensazione; Aristotele; Kant; Schelling; Scheler
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/227916
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