L’art. 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione, introdotto nell’ambito della revisione costituzionale del 2001, avendo attribuito allo Stato competenza esclusiva per la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», è divenuto, per ciò stesso, oggetto di approfondite analisi ermeneutiche nella letteratura giuridica, nonché di incessanti diatribe giurisprudenziali, soprattutto innanzi alla Corte costituzionale. La dottrina e il Giudice delle leggi si sono infatti assiduamente dedicati all’interpretazione di tale disposizione, per cercare di trovare il nuovo punto di equilibrio tra l’autonomia regionale, corroborata dal decentramento delle competenze legislative e amministrative, riallocate anche nei distinti ambiti del Welfare italiano, e le ineludibili esigenze di uniformità e aterritorialità che il novellato Titolo V ripropone nella tutela dei diritti sociali, ancorandoli ancor più saldamente ai ben noti principî di eguaglianza e solidarietà, cioè alla Parte I della Costituzione. La letteratura giuridica in argomento, ormai amplissima, si è particolarmente interrogata in ordine al concetto di “essenzialità”, sia a causa dell’ambiguità lessicale in cui si è distinto il legislatore costituzionale, sia per la consapevolezza delle notevoli ripercussioni che l’esegesi prevalente della menzionata disposizione avrà nella ridefinizione del nostro sistema di Welfare. La Corte costituzionale, a sua volta, si è trovata ad affrontare e risolvere un profluvio di controversie tra lo Stato e le Regioni. Lo Stato, infatti, o meglio il Governo centrale, in sintonia con la maggioranza parlamentare chiamata ad interpretare e attuare il Titolo V dopo il 2001, ha contribuito a provocare numerosi ricorsi da parte delle Regioni, avendo voluto intensificare il proprio ruolo a difesa di una ben nota clausola generale previgente, inespressa per altro nel nuovo dettato costituzionale, cioè essendosi impegnato a tutto campo nella riedizione dell’interesse nazionale. Facendo leva sulla disposizione di cui si tratta, lo Stato ha ritenuto: sia di poter contrastare le normative regionali, in ogni circostanza in cui a suo parere fossero venute in considerazione esigenze di uniformità nella tutela dei diritti fondamentali, in specie sociali, sia di essere legittimato ad ingerirsi uniformemente nelle scelte di politica sociale locale, in particolare attraverso la predisposizione e l’erogazione, diretta e vincolata, di fondi statali, coinvolgendo in tal modo anche l’inattuato art. 119 Cost., per continuare ad indirizzare le politiche sociali regionali con scelte centralistiche, finanziariamente derivate e condizionate. Sul piano giuridico (rectius: esegetico), lo Stato ha quindi inteso estremizzare la propria potestà di determinare i livelli essenziali delle prestazioni, valorizzandone l’implicito profilo teleologico, esasperando la tutela dell’uniformità, ad esempio nell’attuazione territoriale di determinate politiche sociali, senza però impegnarsi nella definizione normativa dei livelli essenziali di assistenza sociale (Liveas), compresi standard e parametri specificativi ed attuativi, che invece rappresentano l’ineludibile premessa per la corretta attuazione dell’omologo diritto attraverso prestazioni e servizi posti in essere dalle entità regionali e locali. Il considerevole contenzioso costituzionale tra Stato e Regioni ha ovviamente travalicato l’ambito circoscritto dei servizi sociali e gli esiti giurisprudenziali, assai numerosi, manifestano senz’altro l’evidente intento della Consulta di ricondurre lo Stato nell’alveo della competenza che gli è propria, attraverso un’interpretazione marcatamente letterale dell’art. 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione. Il presente lavoro, analizzando la più recente e significativa giurisprudenza costituzionale avente ad oggetto i livelli essenziali delle prestazioni sociali e l’art. 119 Cost., cerca anzitutto di porre in risalto l’apporto esegetico della Corte in ordine alle suddette disposizioni, nonché le complesse intersezioni sistemiche tra le stesse. Esso si propone, inoltre, di far comprendere, alla luce della dottrina più attuale, quale federalismo fiscale sia possibile prefigurare e stia emergendo nell’evoluzione interpretativa. Lo studio avvalora per altro l’opinione di chi continua a sostenere che il dettato su cui si innerva il vigente Titolo V, della Parte II, della nostra Costituzione non è in grado di produrre i benefici frutti che il legislatore di revisione aveva probabilmente sperato nel 2001, e cioè la nascita, se non di un autentico sistema federale, almeno di un sano regionalismo cooperativo e solidale.

I livelli essenziali delle prestazioni sociali alla luce della recente giurisprudenza della Corte costituzionale e dell'evoluzione interpretativa

GUIGLIA, Giovanni
2008-01-01

Abstract

L’art. 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione, introdotto nell’ambito della revisione costituzionale del 2001, avendo attribuito allo Stato competenza esclusiva per la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», è divenuto, per ciò stesso, oggetto di approfondite analisi ermeneutiche nella letteratura giuridica, nonché di incessanti diatribe giurisprudenziali, soprattutto innanzi alla Corte costituzionale. La dottrina e il Giudice delle leggi si sono infatti assiduamente dedicati all’interpretazione di tale disposizione, per cercare di trovare il nuovo punto di equilibrio tra l’autonomia regionale, corroborata dal decentramento delle competenze legislative e amministrative, riallocate anche nei distinti ambiti del Welfare italiano, e le ineludibili esigenze di uniformità e aterritorialità che il novellato Titolo V ripropone nella tutela dei diritti sociali, ancorandoli ancor più saldamente ai ben noti principî di eguaglianza e solidarietà, cioè alla Parte I della Costituzione. La letteratura giuridica in argomento, ormai amplissima, si è particolarmente interrogata in ordine al concetto di “essenzialità”, sia a causa dell’ambiguità lessicale in cui si è distinto il legislatore costituzionale, sia per la consapevolezza delle notevoli ripercussioni che l’esegesi prevalente della menzionata disposizione avrà nella ridefinizione del nostro sistema di Welfare. La Corte costituzionale, a sua volta, si è trovata ad affrontare e risolvere un profluvio di controversie tra lo Stato e le Regioni. Lo Stato, infatti, o meglio il Governo centrale, in sintonia con la maggioranza parlamentare chiamata ad interpretare e attuare il Titolo V dopo il 2001, ha contribuito a provocare numerosi ricorsi da parte delle Regioni, avendo voluto intensificare il proprio ruolo a difesa di una ben nota clausola generale previgente, inespressa per altro nel nuovo dettato costituzionale, cioè essendosi impegnato a tutto campo nella riedizione dell’interesse nazionale. Facendo leva sulla disposizione di cui si tratta, lo Stato ha ritenuto: sia di poter contrastare le normative regionali, in ogni circostanza in cui a suo parere fossero venute in considerazione esigenze di uniformità nella tutela dei diritti fondamentali, in specie sociali, sia di essere legittimato ad ingerirsi uniformemente nelle scelte di politica sociale locale, in particolare attraverso la predisposizione e l’erogazione, diretta e vincolata, di fondi statali, coinvolgendo in tal modo anche l’inattuato art. 119 Cost., per continuare ad indirizzare le politiche sociali regionali con scelte centralistiche, finanziariamente derivate e condizionate. Sul piano giuridico (rectius: esegetico), lo Stato ha quindi inteso estremizzare la propria potestà di determinare i livelli essenziali delle prestazioni, valorizzandone l’implicito profilo teleologico, esasperando la tutela dell’uniformità, ad esempio nell’attuazione territoriale di determinate politiche sociali, senza però impegnarsi nella definizione normativa dei livelli essenziali di assistenza sociale (Liveas), compresi standard e parametri specificativi ed attuativi, che invece rappresentano l’ineludibile premessa per la corretta attuazione dell’omologo diritto attraverso prestazioni e servizi posti in essere dalle entità regionali e locali. Il considerevole contenzioso costituzionale tra Stato e Regioni ha ovviamente travalicato l’ambito circoscritto dei servizi sociali e gli esiti giurisprudenziali, assai numerosi, manifestano senz’altro l’evidente intento della Consulta di ricondurre lo Stato nell’alveo della competenza che gli è propria, attraverso un’interpretazione marcatamente letterale dell’art. 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione. Il presente lavoro, analizzando la più recente e significativa giurisprudenza costituzionale avente ad oggetto i livelli essenziali delle prestazioni sociali e l’art. 119 Cost., cerca anzitutto di porre in risalto l’apporto esegetico della Corte in ordine alle suddette disposizioni, nonché le complesse intersezioni sistemiche tra le stesse. Esso si propone, inoltre, di far comprendere, alla luce della dottrina più attuale, quale federalismo fiscale sia possibile prefigurare e stia emergendo nell’evoluzione interpretativa. Lo studio avvalora per altro l’opinione di chi continua a sostenere che il dettato su cui si innerva il vigente Titolo V, della Parte II, della nostra Costituzione non è in grado di produrre i benefici frutti che il legislatore di revisione aveva probabilmente sperato nel 2001, e cioè la nascita, se non di un autentico sistema federale, almeno di un sano regionalismo cooperativo e solidale.
2008
9788834877401
Diritto regionale; Giurisprudenza costituzionale; autonomia statutaria; riforma Titolo V; autonomia legislativa e amministrativa
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/317006
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