La presente trattazione si propone di offrire una collocazione sistematica nel panorama del diritto internazionale contemporaneo alla cd. clean hands doctrine. In termini generali, si rileva come la dottrina delle ‘mani pulite’ sia animata dallo scopo di impedire ad un soggetto che abbia mantenuto una condotta illecita (o anche, secondo talune interpretazioni, immorale) in relazione alla domanda giudiziale - e che, pur tuttavia, si presenta innanzi al giudice adito denunciando le azioni di controparte - di pretendere il riconoscimento del proprio diritto, macchiato, appunto, dalle sue ‘unclean hands’, e il conseguente rimedio. La clean hands doctrine si configura allora come una importante difesa processuale nelle mani del convenuto volta a bloccare in tutto o in parte l'istanza attorea; qualora infatti venga stabilita positivamente una difesa di mani pulite, la conseguenza è che la controversia non potrà risolversi tout court in senso favorevole alla parte istante. Lo scopo – dichiarato - della presente trattazione è quello di sostenere la qualificazione della dottrina di clean hands quale principio processuale di diritto internazionale, supportando tale impostazione teorica con l’analisi della prassi giudiziale internazionale. Il punto di partenza sarà la ricostruzione della categoria dei ‘principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili’, annoverati tra le fonti alle quali la Corte Internazionale di Giustizia, ai sensi dell’articolo 38, paragrafo 1, lett. c), del suo Statuto, può fare ricorso nel decidere i procedimenti innanzi ad essa incardinati. In effetti, la prospettiva qui suggerita colloca la clean hands doctrine nell’ambito di tale fonte ma, per poter giungere ad una simile conclusione, occorre domandarsi, anzitutto, se la dottrina in commento sia stata sviluppata e condivisa dagli ordinamenti nazionali, avuto riguardo ad ambedue le tradizioni giuridiche di civil e common law così da assumere la valenza di principio – processuale – di logica giuridica condiviso dagli ordinamenti dei “Paesi civili”. Se la clean hands doctrine si riscontra, tradizionalmente ed espressamente, nella case law anglosassone, il passo in più che qui si cercherà di compiere è quello di dimostrare come la dottrina permei altresì gli ordinamenti giuridici di civil law - seppure in termini impliciti e talvolta meramente affini – quale lex specialis rispetto al più ampio principio di buona fede (rectius, quale sua declinazione processuale). ! 6 Se quindi nella common law anglosassone la clean hands doctrine trova esplicito fondamento nel sistema di equity del quale costituisce una delle più note massime (quella cioè secondo cui, stando alla formulazione coniata da Sir Gerald Fitzmaurice, ‘he who comes into equity must come with clean hands’), negli ordinamenti di civil law si può giungere ad un esito analogo avendo riguardo al principio di buona fede e alla sua estrinsecazione processuale della exceptio doli generalis. Ciò posto, il secondo step con il quale si procederà, è la verifica se una tale impostazione trovi supporto nella prassi internazionale. Se, infatti, una parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene che la clean hands doctrine non faccia parte del diritto internazionale generale, è stato, per converso, autorevolmente sostenuto che essa ne costituisce certamente un principio fondamentale. Seguendo tale seconda impostazione si cercherà di capire quindi in quali termini e in quale fase del giudizio la dottrina in parola è o dovrebbe essere considerata. L’approccio che si è scelto di adottare considera quindi, anzitutto, la giurisprudenza delle Corti internazionali nelle cd. inter-State disputes, sia dirette che indirette (rectius, in protezione diplomatica) per poi procedere con l’analisi della giurisprudenza arbitrale sugli investimenti nel caso di controversie che vedono opporsi un investitore straniero al cd. host State. Si cercherà, infine, di offrire una definizione ed una collocazione processuale sistematica alla dottrina di clean hands poiché gli approcci sino ad oggi addottati dalle Corti e dai Tribunali internazionali hanno evidenziato una discrasia quanto alla considerazione della sua portata ed effetti.

La clean hands doctrine come principio di diritto internazionale processuale

Moro Elisa
Writing – Original Draft Preparation
2020-01-01

Abstract

La presente trattazione si propone di offrire una collocazione sistematica nel panorama del diritto internazionale contemporaneo alla cd. clean hands doctrine. In termini generali, si rileva come la dottrina delle ‘mani pulite’ sia animata dallo scopo di impedire ad un soggetto che abbia mantenuto una condotta illecita (o anche, secondo talune interpretazioni, immorale) in relazione alla domanda giudiziale - e che, pur tuttavia, si presenta innanzi al giudice adito denunciando le azioni di controparte - di pretendere il riconoscimento del proprio diritto, macchiato, appunto, dalle sue ‘unclean hands’, e il conseguente rimedio. La clean hands doctrine si configura allora come una importante difesa processuale nelle mani del convenuto volta a bloccare in tutto o in parte l'istanza attorea; qualora infatti venga stabilita positivamente una difesa di mani pulite, la conseguenza è che la controversia non potrà risolversi tout court in senso favorevole alla parte istante. Lo scopo – dichiarato - della presente trattazione è quello di sostenere la qualificazione della dottrina di clean hands quale principio processuale di diritto internazionale, supportando tale impostazione teorica con l’analisi della prassi giudiziale internazionale. Il punto di partenza sarà la ricostruzione della categoria dei ‘principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili’, annoverati tra le fonti alle quali la Corte Internazionale di Giustizia, ai sensi dell’articolo 38, paragrafo 1, lett. c), del suo Statuto, può fare ricorso nel decidere i procedimenti innanzi ad essa incardinati. In effetti, la prospettiva qui suggerita colloca la clean hands doctrine nell’ambito di tale fonte ma, per poter giungere ad una simile conclusione, occorre domandarsi, anzitutto, se la dottrina in commento sia stata sviluppata e condivisa dagli ordinamenti nazionali, avuto riguardo ad ambedue le tradizioni giuridiche di civil e common law così da assumere la valenza di principio – processuale – di logica giuridica condiviso dagli ordinamenti dei “Paesi civili”. Se la clean hands doctrine si riscontra, tradizionalmente ed espressamente, nella case law anglosassone, il passo in più che qui si cercherà di compiere è quello di dimostrare come la dottrina permei altresì gli ordinamenti giuridici di civil law - seppure in termini impliciti e talvolta meramente affini – quale lex specialis rispetto al più ampio principio di buona fede (rectius, quale sua declinazione processuale). ! 6 Se quindi nella common law anglosassone la clean hands doctrine trova esplicito fondamento nel sistema di equity del quale costituisce una delle più note massime (quella cioè secondo cui, stando alla formulazione coniata da Sir Gerald Fitzmaurice, ‘he who comes into equity must come with clean hands’), negli ordinamenti di civil law si può giungere ad un esito analogo avendo riguardo al principio di buona fede e alla sua estrinsecazione processuale della exceptio doli generalis. Ciò posto, il secondo step con il quale si procederà, è la verifica se una tale impostazione trovi supporto nella prassi internazionale. Se, infatti, una parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene che la clean hands doctrine non faccia parte del diritto internazionale generale, è stato, per converso, autorevolmente sostenuto che essa ne costituisce certamente un principio fondamentale. Seguendo tale seconda impostazione si cercherà di capire quindi in quali termini e in quale fase del giudizio la dottrina in parola è o dovrebbe essere considerata. L’approccio che si è scelto di adottare considera quindi, anzitutto, la giurisprudenza delle Corti internazionali nelle cd. inter-State disputes, sia dirette che indirette (rectius, in protezione diplomatica) per poi procedere con l’analisi della giurisprudenza arbitrale sugli investimenti nel caso di controversie che vedono opporsi un investitore straniero al cd. host State. Si cercherà, infine, di offrire una definizione ed una collocazione processuale sistematica alla dottrina di clean hands poiché gli approcci sino ad oggi addottati dalle Corti e dai Tribunali internazionali hanno evidenziato una discrasia quanto alla considerazione della sua portata ed effetti.
2020
clean hands doctrine, diritto internazionale, CIG, arbitrato sugli investimenti
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Descrizione: Tesi di dottorato Elisa Moro | La Clean Hands Doctrine come principio di diritto internazionale processuale
Tipologia: Tesi di dottorato
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/1016626
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